Un grande balzo per l’umanità … e anche per la sismologia, la fisica dei corpi planetari & co.

Il primo sbarco dell’uomo sulla Luna, di cui in questi giorni ricorre il 50° anniversario, ha permesso di installare sulla superficie del nostro satellite strumenti simili a quelli usati per prospezioni e ricerche sulla Terra.

di Domenico Di Mauro, Umberto Sciacca e Patrizia Tosi

Un piccolo passo per un uomo, un grande balzo per l’umanità.” Fu la storica frase pronunciata da Neil Armstrong, subito dopo aver fatto il “salto” che dalla scaletta del LEM (Lunar Excursion Module), il modulo che discese sulla superficie lunare, lo aveva portato a contatto, si fa per dire, considerata la tuta spaziale, col suolo lunare. In questi giorni ricorre il 50° anniversario di quella storica missione, la prima che portò uomini sulla Luna: Armstrong posò il piede sulla superficie lunare alle ore 2:56 (ora GMT, le 4:56 italiane) del 21 luglio 1969.

Anche nel nostro blog diamo spazio alle celebrazioni con un piccolo contributo, ricordando come quella missione e le successive, oltre all’impatto mediatico, siano stata progettate per effettuare alcuni esperimenti scientifici tra cui un sondaggio del nostro satellite, grazie ad apparecchiatura della stessa tipologia usata anche qui sulla Terra per prospezioni geofisiche, opportunamente modificata per funzionare nell’inesplorato e incognito mondo lunare.

Le missioni

Anche se quella dell’Apollo 11 è la missione più ricordata per essere stata la prima che ha permesso all’uomo di allunare, non va dimenticato che si trattò del punto di arrivo di un enorme sforzo portato avanti con grande professionalità, entusiasmo e meticolosità dagli statunitensi. Il processo di avvicinamento alla Luna fu infatti graduale (anche se i tempi furono comunque rapidi) e programmato razionalmente. E va inoltre ricordato che il processo ha avuto una spinta invisibile fortissima: la pressione politica internazionale dei sovietici che in ambito spaziale, all’epoca, rappresentavano una vera minaccia alla supremazia mondiale tanto a cuore agli americani, scandita anche attraverso la corsa alla conquista del suolo lunare e allo sviluppo tecnologico che accompagnava questa grande avventura.

Una serie di missioni preparatorie precedettero quella dell’Apollo 11: dapprima provando la navicella in orbita attorno alla Terra, senza LEM (Apollo 7), poi effettuando il primo viaggio fino alla Luna (Apollo 8, alla fine del ‘68), quindi testando il LEM in orbita terrestre (Apollo 9), infine scendendo col LEM fin quasi a toccare la Luna (Apollo 10). Finalmente si arrivò alla discesa vera e propria al suolo con la missione Apollo 11.

Nonostante tutte le precauzioni, purtroppo in questa lunga avventura fu registrato qualche incidente, sia sul fronte sovietico che in quello statunitense: nella missione Apollo 1, l’intero equipaggio perì in un incendio durante un’esercitazione a terra. Anche con la tredicesima missione Apollo, che ha anche ispirato un fortunatissimo e appassionante film, è stata sfiorata la tragedia della perdita di tutto l’equipaggio a causa di una esplosione al modulo di servizio, riducendo la disponibilità di energia per la navicella e di ossigeno per l’equipaggio. La missione per fortuna terminò felicemente, perché gli astronauti riuscirono a tornare sani e salvi sfruttando il motore del LEM per impostare la rotta di ritorno.

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Il modulo LEM dell’Apollo 11 mentre si avvicina al modulo di comando per il rientro a terra, dopo la discesa sulla Luna (fonte: NASA)

Le missioni restanti (la 12 e quelle dalla 14 alla 17) furono sempre più ardimentose, visto che gli astronauti si allontanarono sempre più dal punto di allunaggio, usando anche la famosa “rover”, e rimanendo al suolo per periodi di tempo via via più lunghi (da poco meno di 22 ore della prima missione agli oltre 3 giorni dell’ultima, finita nel dicembre del 1972) e mettendo a segno numerosi esperimenti scientifici.

Nel seguito ci soffermeremo sugli strumenti e sui risultati che ci hanno permesso di desumere preziose informazioni sul nostro satellite naturale, quelli relativi ai terremoti (o meglio “lunamoti”) e quelli relativi al suo campo magnetico, ricordando anche che la conoscenza della Luna è passata anche attraverso l’analisi di ben 382 kg di campioni lunari, portate sulla Terra grazie alle varie missioni Apollo. Alcuni di questi campioni furono studiati da un gruppo di giovani ricercatori romani tra il 1971 ed il 1976 sotto la guida di Renato Funiciello, che sarebbe diventato, anni dopo, vice-presidente dell’INGV.

La sismologia lunare

Durante le missioni Apollo, tra il 1969 e il 1972, sono stati posizionati diversi strumenti sulla superficie lunare, tra cui cinque sismometri. Il primo, installato dall’equipaggio dell’Apollo 11, rimase funzionante per sole tre settimane, mentre gli altri quattro, portati delle missioni 12, 14, 15 e 16, hanno continuato ad inviare dati fino al 1977, data in cui vennero spenti per ragioni di budget. Ogni sismometro ha registrato il movimento del suolo sulle tre componenti spaziali (due orizzontali e una verticale, con sensibilità massima a 0.45 Hz), più una aggiuntiva componente verticale sensibile alle alte frequenze (8 Hz).

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L’astronauta dell’Apollo 11 Buzz Aldrin si trova accanto al sismometro appena installato (Crediti dell’immagine: NASA)

Durante i quasi otto anni di funzionamento, la rete formata dai 4 sismometri registrò migliaia di eventi sismici che furono catalogati in diverse classi a seconda della loro profondità e della loro probabile causa:

  • più di 3000 lunamoti con profondità da 700 a 1200 km ad occorrenza ciclica e quindi probabilmente dovuti alle forze mareali;

  • 28 lunamoti con profondità minore di 100 km;

  • migliaia di piccoli eventi sismici dovuti all’espansione termica della crosta al passaggio tra il periodo di irraggiamento solare, che dura circa due settimane e il periodo di buio, con un’escursione termica di quasi 300° C, passando mediamente da +127°C durante il giorno lunare a -173°C durante la notte lunare, (moderne misurazioni hanno restituito un primato alla Luna, registrando la temperatura più bassa mai osservata su corpi planetari dell’intero sistema solare, -247 °C all’interno di un cratere ubicato in area polare);

  • più di 1700 eventi sismici causati da impatti di meteoroidi;

  • eventi artificiali causati da impatti dei moduli lunari discesi successivamente e parti dei razzi vettori Saturn, proprio quelli che hanno trasportato le missioni fino alla Luna.

Lo studio dei lunamoti ha avuto difficoltà superiore a quella che si incontra nella sismologia terrestre, poiché gli strumenti erano pochi e posizionati solo sul lato che la Luna volge alla Terra. Oltretutto le proprietà elastiche delle rocce lunari hanno stime più approssimate e per gli stessi motivi è difficile calcolare la magnitudo del singolo evento. Lo studio dei sismogrammi ha mostrato comunque caratteristiche compatibili con una maggiore elasticità della crosta lunare, più fredda e con minore contenuto d’acqua rispetto a quella terrestre.

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I punti colorati indicano gli epicentri dei lunamoti superficiali (rossi: lato vicino, blu: lato nascosto), i rombi gialli mostrano i siti sismometrici installati dalle missioni Apollo indicate dal numero [Lunar and Planetary Institute].

Uno studio recente, riconsiderando i lunamoti superficiali, ha mostrato interessanti connessioni con i processi tettonici. I 28 eventi considerati, con magnitudo stimata tra 2.8 e 4.8, sono stati localizzati con maggiore precisione, trovando che otto di loro hanno avuto l’epicentro piuttosto vicino (entro 30 km) a scarpate della superficie lunare (alte circa 10 metri) scoperte e individuate con moderne osservazioni. Questo risultato potrebbe indicare una tettonica attiva della crosta lunare che, attraverso processi di fagliazione, si accorcia per accomodare il restringimento del mantello dovuto al lento raffreddamento. Inoltre, altre immagini riprese nelle vicinanze delle faglie, mostrano tracce fresche di massi che sono rotolati giù per i pendii delle scarpate, probabilmente in seguito agli eventi sismici.

Frequenza e intensità dei lunamoti sembrano al momento minori di quelle dei terremoti sul nostro pianeta, ma le missioni Apollo hanno fatto il primo passo per la definizione della futura mappa di pericolosità lunare, di cui le prossime missioni dovranno tenere conto.

Il Magnetismo lunare

Un importante e alternativo modo per conoscere come un corpo planetario è fatto al suo interno, oltre a quello di registrarne, se vi sono, i terremoti, è quello di controllare se è presente un campo magnetico globale e/o locale e di misurarne l’intensità. La Luna ha un debolissimo campo magnetico globale, come si era già desunto dalle misure effettuate durante gli anni di esplorazione con sonde statunitensi e sovietiche in orbita, prima delle missioni per l’allunaggio, e poi confermate in loco a partire dalla missione Apollo 12 in poi. In quella occasione gli astronauti istallarono un magnetometro tri-assiale fisso, mentre nelle successive missioni furono raccolti dati attraverso dei magnetometri mobili per sondare differenti punti della superficie.

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Magnetometro tri-assiale fisso, istallato sulla superficie della Luna durante la missione Apollo 12 (fonte: NASA)
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Magnetometro tri-assiale mobile con un cavo lungo 1500 metri fino alla centralina di controllo, usato sulla superficie della Luna durante le ultime missioni Apollo (fonte: NASA)

I risultati di questi esperimenti hanno indicato variazioni significative dell’intensità del campo magnetico della Luna sia su scala locale che regionale, passando da un minimo di 6 nT nel sito Apollo 15 ad un massimo di 313 nT nel sito Apollo 16. Per confronto, l’intensità del campo magnetico terrestre è circa 100 volte superiore al valore più alto misurato sulla Luna (all’equatore terrestre il campo ha un’intensità di circa 30000 nT mentre ai poli è di circa 60000 nT). Nel sito di Apollo 14, il campo variava tra 43 e 103 nT fra due punti distanti solo 1 km. Nel sito Apollo 16, il campo variava tra 121 e 313 nT in punti distanti 7 km circa. Queste variazioni indicano la presenza di sorgenti localizzate nella crosta lunare dovute principalmente a processi di alterazione per urto da impatto di meteoriti. La Luna mostra pertanto un campo magnetico caratterizzato da strutture locali che cambiano da luogo a luogo. Considerata nel suo insieme la Luna non presenta le proprietà di un grande magnete, a differenza del caso della Terra e del suo immenso campo dipolare generato nel nucleo esterno fluido. Una bussola perciò sarebbe del tutto inutile sulla sua superficie. La magnetizzazione della Luna è essenzialmente di tipo crostale, probabilmente acquisita nelle prime fasi della sua storia quando la geodinamo (il processo che sta alla base della generazione del campo magnetico terrestre) era ancora operativa.

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Ricostruzione dell’intensità del campo magnetico lunare a partire dei dati rilevati dalla sonda Lunar Prospector, 2006. Rielaborazione di Mark A. Wieczorek.

Le osservazioni fatte con i magnetometri possono anche aiutare a delineare la struttura interna della Luna. Dalle misure raccolte sulla superficie in confronto ai valori raccolti dagli strumenti in orbita quando la Luna entra ed esce dall’influenza del campo magnetico terrestre, è possibile stimare come la resistività elettrica lunare varia con la profondità (la resistività è un parametro che dipende sia dalla composizione chimica che dalla temperatura del materiale analizzato). Si ritiene che la parte più esterna della Luna abbia una resistività di circa 10000 ohm x metro mentre il nucleo abbia valori di resistività pari a 100 ohm x metro (i corrispondenti valori per la Terra sono rispettivamente 0,1 ohm x metro e 0,00001 ohm x metro). Questi valori si possono utilizzare per stimare la temperatura del nostro satellite naturale a varie profondità: ipotizzando che il costituente principale sia la peridotite (minerale comune del mantello terrestre) la resistenza elettrica osservata corrisponde ad una temperatura massima compresa fra 600 e 1000 °C per la maggior parte dell’interno lunare. Naturalmente questi valori sono molto approssimativi ma convalidano l’ipotesi che la struttura interna, con un raggio complessivo di circa 1740 km (poco meno di un quarto di quello terrestre), sia differenziabile in tre strati: una crosta con spessore compreso tra 50 e 100 km, un piccolo nucleo di ferro e nichel (in parte solido e in parte fuso di circa 500 km di spessore) e un mantello che contribuisce con il valore prevalente alla densità media della Luna, pari a 3,3 g/cm3 (quello della Terra è di 5,5 g/cm3).

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Modello raffigurante la stratificazione interna della Luna

L’ultima visita sulla Luna con equipaggio umano, con la missione Apollo 17, si è svolta nel 1972, quasi mezzo secolo fa. Un rinnovato interesse per il nostro satellite naturale si sta adesso manifestando per una rinata necessità scientifica, quella di trovare spunti, soluzioni e strategie per gestire al meglio una sfida, questa volta condivisa, sul modello che sta alla base del successo della stazione spaziale internazionale, l’ISS  condivisa da americani, russi (che all’epoca si fronteggiavano, osteggiandosi reciprocamente) e altre nazioni sinceramente e pacificamente interessate a nuove conoscenze scientifiche in ambito spaziale, una sfida che ci porterà verso una meta ancora più ambiziosa: far atterrare l’uomo su Marte.

 


Per approfondire:

Nakamura Y. (1980) Shallow moonquakes: How they compare with earthquakes. Proc. Lunar Planet. Sci. Conf., 11th, 1847-1853.

Nakamura Y., Latham G.V. & Dorman H.J. (1982), Apollo Lunar Seismic Experiments Final Summary, Proceedings of the thirteenth Lunar and Planetary Science Conference, part 1 Journal of Geophysical Research, 87, a117-a123.

Watters, T. R., Weber, R. C., Collins, G. C., Howley, I. J., Schmerr, N. C., & Johnson, C. L. (2019). Shallow seismic activity and young thrust faults on the Moon. Nature Geoscience, 12, 411-417.

C. A. Dwyer, D. J. Stevenson & F. Nimmo (2011). A long-lived lunar dynamo driven by continuous mechanical stirring. Nature volume 479, pages 212–214

Ian Garrick-Bethell, iBenjamin P. Weiss, David L. Shuster e Jennifer Buz, Early Lunar Magnetism, in Science, vol. 323, nº 5912, 2009, pp. 356-359.

Hideo Tsunakawa, Futoshi Takahashi, Hisayoshi Shimizu, Hidetoshi Shibuya e Masaki Matsushima, Surface vector mapping of magnetic anomalies over the Moon using Kaguya and Lunar Prospector observations, Journal of geophysical research, 2015, DOI:10.1002/2014JE004785.