Vita da paleomagnetista
Spesso mi sono sentito fare domande sul lavoro che faccio. Domande ricorrenti sono: cosa fa un paleomagnetista? Che cosa è il paleomagnetismo? Ma… esattamente di che ti occupi?? Le richieste sono numerose e io amo così tanto il mio lavoro che ho deciso di realizzare un video in cui ho cercato di ricostruire, passo per passo, l’attività di ricerca di un paleomagnetista.
Prima di vedere il video però, in breve, qualche informazione per comprenderlo meglio.
Cosa studia il Paleomagnetismo?
La Terra possiede un campo magnetico, grazie al quale l’ago della bussola si orienta indicando, con una certa approssimazione, la direzione nord. Abbiamo informazione sui valori del campo magnetico terrestre da misure dirette solo per gli ultimi 500 anni circa e da queste sappiamo che la direzione indicata da una ipotetica bussola non è rimasta costante in questo arco temporale, ma è cambiata piuttosto velocemente. La declinazione magnetica, la differenza angolare tra il meridiano magnetico e il meridiano geografico, cambia costantemente (in Italia la declinazione era pari a 17°-18° verso ovest nel 1800, mentre oggi va da 1° a 3° verso est). Questa variazione della declinazione, e più in generale di tutti gli elementi del campo geomagnetico nel tempo, viene chiamata variazione secolare.
Per capire le caratteristiche del campo magnetico per periodi precedenti agli ultimi 500 anni ci dobbiamo affidare a misurazioni indirette. Ed è qui che interviene la figura del paleomagnetista. Infatti, lo studio del campo magnetico nel passato geologico, cioè nei milioni e miliardi di anni che hanno caratterizzato la storia della Terra, viene fatto grazie al paleomagnetismo. La direzione del campo magnetico può essere “congelata” nelle rocce all’atto della loro formazione, ed in seguito ricostruita grazie allo studio della magnetizzazione – o appunto del “paleomagnetismo”- delle rocce.
Il lavoro del paleomagnetista quindi è quello di andare a ricercare rocce in grado di svelare i propri segreti e di fornire informazioni preziose per contribuire alla ricostruzione del set dei valori assunti dal campo magnetico terrestre, nel passato geologico.
Il video
Il lavoro descritto nel video si basa sull’analisi di campioni raccolti alle pendici dell’Etna, nato dalla collaborazione tra i paleomagnetisti dell’INGV di Roma e i vulcanologi dell’INGV sezione di Catania.
Tra le rocce che più fedelmente registrano la direzione del campo magnetico terrestre ci sono le lave, che solidificandosi e raffreddandosi al di sotto dei 700°C, registrano la direzione del campo magnetico presente in quel momento in quel luogo della Terra (vedi FAQ di Paleomagnetismo).
Schematicamente per punti il lavoro può essere diviso in vari step:
- Si prelevano dei campioni grazie ad un perforatore raffreddato ad acqua e munito di carotiere a punta diamantata.

- I campioni vengono poi orientati in-situ tramite una bussola magnetica ed una solare

I cilindri di roccia estratti e marcati vengono tagliati in campioni di circa 2 cm di lunghezza e la loro magnetizzazione (in intensità e direzione) viene misurata in un laboratorio di paleomagntismo. Nel caso dell’analisi delle lave dell’Etna i campioni sono stati analizzati presso il laboratorio di paleomagnetismo dell’INGV a Roma.
Si calcolano le direzioni paleomagnetiche per ogni campione
Il lavoro descritto nel video effettuato sui campioni di lava dell’Etna ci ha portato ad interessanti risultati. I nostri dati hanno mostrato che in periodo medievale (tra il IX e XIII secolo DC) tre grandi colate si sono spinte alle falde del vulcano: due sono addirittura arrivate al mare, di cui una tra il 953 ed il 1229 ha invaso la parte nord della città di Catania, poi successivamente sepolta in parte anche dalla famosa eruzione del 1669. Un’altra colata tra l’854 ed il 1065 si è spinta a basse quote nel versante NW dell’Etna fino a lambire l’odierno centro di Randazzo. Siamo riusciti così a datare alcune colate laviche partendo da informazioni sul campo magnetico terrestre registrato dalle lave e a ricostruire parte della storia eruttiva dell’Etna. Questa tipologia di studi è molto importante perché datare i prodotti eruttivi che affiorano in superficie significa comprendere la storia eruttiva del vulcano e poter quindi vincolare al meglio l’attività futura e mitigare il rischio.