Ci sono polveri e polveri: studi magnetici per valutare la qualità dell’aria

L’attenzione delle Amministrazioni, dei cittadini e dei mezzi di comunicazione è sempre più rivolta al problema della diffusione delle polveri sottili nelle nostre città, il cosiddetto PM10. Conoscerne le caratteristiche, e saperne discriminare le diverse origini, diventa di fondamentale importanza per poter programmare interventi di controllo e mitigazione dell’inquinamento atmosferico sempre più efficaci.

di Patrizia Macrì 

Le polveri sottili note con i termini PM10 e PM2,5 rappresentano la frazione più fine delle polveri presenti in atmosfera che, dato il piccolo diametro, rispettivamente <10 e <2,5 micron, possono arrivare sino alle vie aeree più profonde portandosi dietro sostanze tossiche e spesso cancerogene. Un’ampia letteratura scientifica mette in evidenza la forte correlazione tra l’esposizione alla frazione fine del particolato atmosferico e la manifestazione di malattie croniche alle vie respiratorie quali asma, bronchiti, enfisemi. Negli ultimi anni, inoltre, numerosi studi epidemiologici hanno mostrato un aumento nell’incidenza di altre gravi malattie neurologiche, quali demenza e Alzheimer, legati all’inquinamento da polveri dell’aria.

In aree urbane, il riscaldamento domestico e il traffico veicolare rappresentano le maggiori fonti di inquinamento da polveri sottili di natura antropica, che a livello di effetti indiretti e indesiderati, è il più pericoloso, poiché agisce da veicolo per sostanze ad elevata tossicità (quali gli idrocarburi policiclici aromatici ed elementi come As, Cd, Ni, Pb) causa di malattie polmonari, cardiocircolatorie e del sistema nervoso centrale. Tuttavia non tutti sanno che, alla concentrazione totale del PM concorrono, in quantità variabili nel tempo, anche altre fonti di origine “naturale”.

Definire il ruolo di tutte le sorgenti, ovvero riuscire a discriminare la frazione di particolato derivante da processi antropici (di combustione, come emissioni industriali, domestiche o veicolari e di abrasione, come freni veicolari, rotaie) da quella di origine naturale (aerosol marino, cenere vulcanica, polveri sahariane) consente di pianificare al meglio le azioni di monitoraggio e mitigazione con importanti ricadute sulla sicurezza dei cittadini. Il superamento di concentrazione oltre i limiti consentiti per legge impone infatti alle Amministrazioni interventi immediati, come ad esempio il blocco del traffico cittadino, al fine di tutelare la salute pubblica. Ma condizioni meteorologiche sfavorevoli (alta pressione, assenza di precipitazioni e scarsa ventilazione in inverno o temperature elevate e precipitazioni scarse in estate) concorrono all’aumento della concentrazione del particolato nelle nostre città, al di sopra di valori critici, pur non contribuendo alla parte più tossica del particolato. Sarebbe quindi importante aver la possibilità di distinguere tra le due fonti, antropica e naturale.

La componente del particolato atmosferico di origine naturale è costituita per lo più da granuli e cristalli di rocce e sedimenti con caratteristiche magnetiche molto diverse da quella antropica, per esempio derivante da processi di combustione dei veicoli, che si presenta sotto forma di sferule di magnetite, o maghemite di dimensioni submicroscopiche, contraddistinte da proprietà magnetiche intense e stabili.

Figura 1 bis
Immagini al microscopio elettronico delle polveri di origine naturale (sopra, con una forma spigolosa o cristallina) e antropica (sferule di magnetite, sotto).

Il laboratorio di Paleomagnetismo dell’INGV si occupa da molti anni di sviluppare alcune applicazioni del Magnetismo ambientale allo studio delle proprietà magnetiche del PM10 tramite l’analisi delle polveri depositate sulle foglie degli alberi in aree urbane o su muschi e licheni trapiantati nei pressi di sorgenti emissive inquinanti (biomonitoraggio). A tal proposito puoi leggere anche questo post. Risale inoltre al 2004 uno studio pilota, condotto in convenzione con la Regione Lazio e l’Agenzia per l’ambiente-ARPA, che ha riguardato l’analisi dei filtri collezionati da alcune centraline delle reti di monitoraggio della qualità dell’aria operanti nella regione Lazio. Lo scopo è stato quello di distinguere con la sofisticata strumentazione del laboratorio, la parte “magnetica” dovuta a contributi antropici, da quella naturale, non caratterizzata da proprietà magnetiche.

I dati sono stati raccolti e analizzati per un anno e lo studio ha dimostrato le potenzialità dei metodi magnetici alla discriminazione e caratterizzazione delle polveri sottili, consentendo una stima del contributo alla concentrazione totale delle particelle di PM10 derivante da processi antropici (in viola nella figura che segue) rispetto a quella proveniente da altre sorgenti naturali (definiti come “residuo” e indicati in giallo nella figura).

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Nella figura è evidente come in alcuni giorni i superamenti del livello di soglia (linea rossa posta ai 50 µg/m³) corrispondano ad un significativo apporto di polveri naturali non magnetiche (picchi in giallo, ovvero alto PM10 residuo), mentre in altri periodi le elevate concentrazioni sono da riferirsi esclusivamente ad un contributo magnetico di origine antropica. L’integrazione con numerosi altri dati disponibili per i periodi e i siti indagati (es. analisi chimico-fisiche, parametri metereologici, foto satellitari) ha confermato come l’origine della frazione del PM10 residuo non magnetico è stato spesso riconducibile ad episodi di apporti di polveri dal nord Africa (NAD) ed in minor misura all’apporto di spray marino (MA) o inquinamento secondario (SP).

Il problema del controllo della qualità dell’aria risulta essere di fondamentale importanza per la collettività non solo per i rischi in termini di salute dei cittadini ma anche per l’impatto economico sulle Amministrazioni che sono chiamate ad individuare nuove strategie per miglioramento della qualità dell’aria. Gli studi finora condotti hanno dimostrato come l’uso dei metodi magnetici possa rappresentare un ottimo, rapido e poco costoso strumento di monitoraggio dell’inquinamento atmosferico in supporto alle attuali tecniche di analisi delle polveri sottili.


Da un punto di vista legislativo, in applicazione della Direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa, l’Italia ha fissato i valori limite di PM10 nell’aria a 40 μg/m3, come concentrazione media annua, e 50 μg/m3, per la concentrazione giornaliera, da non superarsi per più di 35 volte l’anno (DL n. 155 del 13 agosto 2010), mentre per il PM2,5 il valore limite annuale è fissato a 25 μg/m3. Il Consiglio Europeo ha poi fissato nuovi limiti alle emissioni nazionali (National Emission Ceiling) con previsione di riduzione dei massimi consentiti in due passi (a partire dal 2020 e dal 2030) che dovranno essere adottati dagli stati membri per avvicinarsi ai valori guida della Organizzazione Mondiale della Sanità (pari a 20 µg/m³ per il PM10 e 10 µg/m³ per il PM2,5). I superamenti dei limiti normativi, e delle raccomandazioni dell’OMS costituiscono un elemento di particolare interesse, e una sfida, anche in termini di futuri sviluppi nella ricerca scientifica e tecnologica.


Figura di copertina: Immagine da satellite di una tempesta di sabbia proveniente dal nord Africa. Le particelle sottili possono viaggiare per migliaia di chilometri (foto di Jeff Schmaltz, MODIS Rapid Response Team, NASA GSFC)