La geochimica può aiutarci a comprendere i meccanismi di funzionamento dei terremoti?

In occasioni di terremoti alcune sorgenti termali subiscono variazioni della composizione chimica, della temperatura, dei gas disciolti, e del flusso. La geochimica può venirci in aiuto per comprendere i meccanismi di funzionamento di un terremoto.

di Carla Bottari, Salvatore Giammanco e Francesco Sortino

La geochimica è la disciplina che studia la composizione chimica ed isotopica degli elementi e dei composti presenti in natura: in questo ambito rientra anche lo studio di ambienti termali/geotermali in aree vulcaniche. Per tale motivo la geochimica è di grande aiuto nel comprendere i meccanismi dei fenomeni naturali, quali gli eventi sismici, che spesso sono associati a zone di faglia attraverso le quali fluidi termalizzati vengono veicolati verso la superficie.

Il caso di Santa Venera al Pozzo

Sul versante sud-orientale dell’Etna è ubicato il sito archeologico di Santa Venera al Pozzo, vicino Acireale. E’ questo uno dei più antichi impianti termali della Sicilia, usato in maniera pressoché continuativa negli ultimi 5000 anni.

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Figura 1: Guache di Jean Pierre Louis Larent Hoüel (1753–1813) rappresentante i due ambienti voltati (Calidaria) delle Terme Romane di Santa Venera al Pozzo.

L’elemento chiave per lo sviluppo dell’insediamento in età preistorica e successivamente in età Greco-Romana è l’acqua, le cui caratteristiche chimico-fisiche, la percentuale di gas in essa disciolta e le peculiari proprietà terapeutiche ne hanno fatto una delle sorgenti termali più importanti d’Italia. 

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Figura 2: A sinistra la mappa della Sicilia con l’indicazione del sito archeologico di Santa Venera al Pozzo. A destra la mappa geologica di dettaglio del versante sud-orientale dell’Etna con l’indicazione dei terreni affioranti. Il cerchio rosso indica la posizione della sorgente termale di Santa Venera al Pozzo.

Il sito archeologico di Santa Venera al Pozzo è stato colpito da alcuni terremoti, il più recente è avvenuto il 26 dicembre del 2018 (Mw 4.9) prodotto dall’attivazione della faglia della Fiandaca, ubicata in prossimità dell’area archeologica. 

Il terremoto più antico che ha colpito l’area archeologica, danneggiandola in maniera significativa, sembra essere avvenuto nel 251 d.C., un anno prima dell’eruzione Etnea ricordata come “l’eruzione di Sant’Agata” (Santa patrona della Città, martirizzata poco prima dell’evento eruttivo). 

Le evidenze di questo terremoto sono ancora visibili nell’area archeologica riportata nella immagine che segue. In particolare il basamento del podio Romano ed i muretti delle vasche termali poste nelle immediate vicinanze risultano visibilmente dislocati.

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Figura 3: Mappa dell’area archeologica di Santa Venera al Pozzo.

L’area è stata studiata di recente dai ricercatori INGV, attraverso un approccio multidisciplinare che ha coinvolto diverse discipline quali storia, archeologia, geologia, geofisica e geochimica. I rilievi di campagna eseguiti nell’area, unitamente alle indagini integrate di geofisica (tomografia elettrica, tomografia sismica, radar e metodo magnetico) hanno permesso di convalidare quanto precedentemente ipotizzato, ossia la presenza di una dislocazione tettonica che attraversa il sito. Tale frattura, che si estende per circa 40 m in direzione nord-sud, potrebbe rappresentare l’espressione geologica superficiale degli effetti del terremoto del 251 d.C. 

Le zone di frattura sono abbastanza comuni sul versante sud-orientale dell’Etna, che è attraversato da diverse faglie attive come riportato in diverse pubblicazioni scientifiche. Il sito archeologico è peraltro collocato in prossimità di uno di questi lineamenti tettonici, la faglia di Aci Catena, che appartiene al sistema di faglie detto delle Timpe (Fig. 2b). 

Che le Timpe e le faglie ad esse collegate siano tuttora attive non lo rivelano solo i terremoti che periodicamente esse producono, ma anche numerosi studi sismologici e geodetici, proprio nell’area di Santa Venera al Pozzo, che rivelano la presenza di emissioni fluide termalizzate, fenomeno spesso associato a faglie attive.

Le indagini geochimiche

Per studiare queste emissioni nello spazio e nel tempo, recentemente i ricercatori INGV hanno eseguito numerose con il duplice scopo di individuare faglie nascoste nell’area in studio attraverso la mappatura areale delle anomalie di degassamento diffuso di CO2 e di monitorare le variazioni temporali delle emissioni gassose della sorgente ipo-termale sulfurea. 

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Figura 4: Grafico temporale della concentrazione di CH4 (in % vol) e idrogeno solforato (H2S) misurata in un pozzetto nei pressi della antica sorgente termale di Santa Venera al Pozzo. Il picco più alto è stato registrato lo stesso giorno dell’evento sismico del 26 dicembre del 2018.

I dati geochimici suggeriscono la presenza di due discontinuità tettoniche finora sconosciute a Santa Venera al Pozzo. Tali faglie sono “aperte” al passaggio dei fluidi profondi e possono essere considerate sismicamente attive. A riprova di questa ipotesi, variazioni anomale delle emissioni gassose di metano (CH4) e di idrogeno solforato (H2S) dalla sorgente sono avvenute in concomitanza dell’evento sismico del 26 dicembre 2018 (Fig.4). Tali anomalie sono state registrate da un micro-gas-cromatografo, strumento appositamente installato nell’area archeologica per il monitoraggio dei gas emessi. 

Il giorno del sisma è stato registrato un picco di emissione dei due gas, preceduto da un altro il giorno precedente, entrambi interpretati come segnali di variazione di stress tettonico che ha prodotto un aumento di permeabilità crostale e il conseguente rilascio di fluidi profondi. 

I risultati ottenuti suggeriscono che la zona sia sismicamente attiva e avvalora l’ipotesi che i danneggiamenti osservati nell’area termale possano essere attribuiti a terremoti passati come quello del 251 d.C. prodotto effettivamente da una delle faglie esistenti o presunte nell’intorno della sorgente termale.

Nonostante dunque siano trascorsi più di 1700 anni da quel “famoso” evento sismico, il sito di Santa Venera al Pozzo ne custodisce ancora le preziose tracce, e perciò rappresenta un unicum in Sicilia che andrebbe preservato e valorizzato al meglio.


Per approfondire:

Amari S (2006) I materiali in esposizione nell’ Antiquarium- Sale I-II-II. In: Branciforti MG (ed) L’area archeologica di Santa Venera al Pozzo- Acium. Antiquarium, Palermo.

Branca S, Coltelli M, Groppelli G, Lentini F (2011) Geological map of Etna volcano,  1:50,000 scale. Ital J Geosci 130(3): 265–291.

Branciforti MG (2006) L’area archeologica di santa Venera al Pozzo-Acium. Antiquarium, Palermo.

Bottari C, Martorana R, Scudero S, Capizzi P, Cavallaro D, Pisciotta A, D’Alessandro A, Coltelli M, Lodato L (2018). Coseismic Damage At an ArchaeologicalSite in Sicily, Italy: Evidence of Roman Age Earthquake Surface Faulting. Surveys in Geophysics 39: 1263-1284.

Gruppo Analisi Dati Sismici (2017) Catalogo dei terremoti della Sicilia Orientale -Calabria Meridionale (1999–2017). INGV, Catania.  

Guidoboni E, Ciuccarelli C, Mariotti D, Comastri A, Bianchi MG (2014) L’Etna nella storia. Catalogo delle eruzioni dall’antichità fino al XVII secolo, INGV, Rome.

Guidoboni E, Ferrari G, Mariotti D, Comastri A, Tarabusi G, Sgattoni G, Valensise G. (2018) – CFTI5Med, Catalogo dei Forti Terremoti in Italia (461 a.C.-1997) e nell’area Mediterranea (760 a.C.-1500). Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). 

Hoüel JP (2013) Il viaggio in Sicilia 1776–1779. Ediz. Storia e Studi Sociali, Scicli.

Monaco C, Tapponnier P, Tortorici L, Gillot PY (1997) Late quaternary slip rates on the Acireale-Piedimonte normal faults and tectonic origin of Mt. Etna (Sicily). Earth Planet Sci Lett 147(1–4):125–139.

Raccuglia S (1906) Akis, Accademia degli Zelanti e dei Dafnici. Acireale, Tip. Orario delle ferrovie.