La scoperta delle variazioni climatiche a scala geologica – Prima parte (da Aristotele a Milanković)
Stiamo assistendo a cambiamenti climatici globali senza precedenti. La velocità di incremento nella concentrazione dei gas serra in atmosfera, il conseguente aumento della temperatura media globale e l’accelerazione nell’incremento del livello del mare che osserviamo in questi ultimi decenni non hanno riscontro nella storia umana e ben pochi termini di paragone nella storia geologica del nostro pianeta. Le variazioni attuali del clima sono da imputare all’aumento della concentrazione dei gas serra in atmosfera prodotto dalle attività umane. Ma qual è la variabilità climatica del pianeta Terra nel corso dei tempi geologici?
Per capire fino a che punto i cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo siano imputabili alle attività umane, è necessario conoscere le caratteristiche legate alla dinamica del nostro pianeta. Per fare chiarezza su questo punto occorre ripercorrere lo sviluppo delle conoscenze e dei concetti acquisiti dall’uomo nel corso degli ultimi due-tre secoli. Una vera e propria rivoluzione delle idee che si impose nella comunità scientifica a partire dalla seconda metà del XX secolo.
Dedicheremo a questo argomento – quello di illustrare sinteticamente la storia dello sviluppo della conoscenza sui cambiamenti climatici su scala di tempo geologica – alcuni post specifici su questo blog. Questo primo post è dedicato agli albori delle conoscenze, a partire da Aristotele fino a giungere alla metà del XX secolo.
Cominciamo da un concetto base.
La Terra è riscaldata dal Sole, la cui energia ci arriva sotto forma di radiazione elettromagnetica, il cosiddetto irraggiamento solare. Circa il 30% di questa energia viene riflessa nello spazio, mentre il restante 70% viene assorbita dall’atmosfera (fenomeno noto come “effetto serra”) e ridistribuita nel pianeta dai processi di circolazione atmosferica e oceanica. A causa della presenza dell’atmosfera e del conseguente effetto serra la temperatura media della Terra si mantiene intorno ai 15°C (in assenza di atmosfera sarebbe circa -18°C ).
Oggi comprendiamo che la quantità di energia ricevuta dal sole, la composizione dell’atmosfera e la dinamica delle circolazioni atmosferiche ed oceaniche determinano il clima del nostro pianeta nel suo complesso. Viene ora naturale da chiedersi come siano variati questi parametri nel corso del tempo geologico e come sia variato di conseguenza il clima della Terra nel passato.
Fino a circa la metà del XX secolo assai poco era noto – anche nella ristretta cerchia degli addetti ai lavori – sulla storia climatica della Terra. Si riteneva generalmente che il clima attuale del pianeta fosse la condizione standard. Le epoche glaciali che avevano caratterizzato il Quaternario (circa gli ultimi 2 milioni di anni), di cui si erano messe in evidenze le tracce con i primi pionieristici studi geologici nel vecchio continente, erano considerate anomale deviazioni dalla norma.
Andando alle origini dei concetti, occorre rilevare che le prime testimonianze storiche risalgono alla Grecia classica. Aristotele (384-322 a.C.) è stato tra i primi a ragionare criticamente sui cambiamenti climatici, e nella sua opera “Meteorologica” scrive:
“…. le stesse parti della Terra non sono sempre state umide o aride, ma cambiano, così come i fiumi si formano o si seccano. E cambiano anche le relazioni tra la terra e il mare, ed una località non rimane sempre terra o mare nel corso del tempo… Noi dobbiamo supporre che questi cambiamenti seguano un ordine o dei cicli.“
Le prime basi scientifiche
Devono ad ogni modo trascorrere molti secoli prima che si cominciassero a porre le basi per le osservazioni scientifiche sul clima (il primo termometro, chiamato termoscopio, fu messo a punto a Padova nel 1597 da Galileo Galilei e le prime misure sistematiche della temperatura risalgono al 1659, in Inghilterra).
Le prime osservazioni sistematiche sulle evidenze geologiche che nel passato il clima potesse essere stato in effetti significativamente diverso dall’attuale, risalgono ai decenni a cavallo tra il XVIII ed il XIX secolo.
Nel 1795 il geologo scozzese James Hutton, in una serie di ricerche presso Ginevra, in Svizzera, intuì per primo che alcuni massi rocciosi isolati (massi erratici) avevano un’origine glaciale pur essendo distanti parecchi chilometri dai più vicini ghiacciai.
Il problema dei massi erratici presenti in luoghi molto distanti dai loro luoghi di origine attrasse l’attenzione dei naturalisti durante le ultime decadi del diciottesimo secolo. Soprattutto i blocchi di granito del Monte Bianco che si ritrovano sulle colline del Giura in Svizzera.
Hutton riferì la presenza di questi massi ad una precedente epoca glaciale sulle Alpi:
“Ci sarebbero state quindi immense lingue di ghiaccio lungo le valli che scivolavano giù in tutte le direzioni verso i territori a quote più basse, e che trasportavano enormi blocchi di granito a grande distanza, dove sarebbero stati variamente depositati, e molti di loro costituiscono oggi oggetto di ammirazione su cui ci si interroga su da dove o come siano arrivati. Tali sono i grandi blocchi di granito che ora riposano sulle colline di Saleve” (in alta Savoia, N.d.A.).

Nel 1837, Louis Agassiz, geologo e paleontologo svizzero, che conseguì una discreta fama studiando e identificando parecchie specie di pesci fossili, analizzando le tracce morfologiche (rocce striate, colline moreniche, massi erratici) di estese coperture glaciali in paesaggi attualmente deglaciati incominciò a intuire che buona parte dell’Europa aveva avuto un passato glaciale.

Agassiz, essendo svizzero, conosceva bene i ghiacciai. Emigrò negli USA verso la metà del XIX secolo e quando arrivò in nord America notò molte configurazioni geologiche tipiche dell’azione dei ghiacciai in aree oramai completamente deglaciate. Organizzò spedizioni scientifiche sul Lago Superiore nell’estate del 1848, e presentò 12 contributi sui suoi ritrovamenti al primo congresso dell’American Association for the Advancement of Science, nell’autunno dello stesso anno. Ipotizzò che la maggior parte del Nord America fosse stata coperta da una coltre di ghiacci spessa fino a 2 miglia.
Le Alpi durante le “ere glaciali”
Il successivo passo cruciale nello studio dei cambiamenti climatici nel corso del Quaternario (si veda questo precedente post per un introduzione al tempo geologico) si verificò agli inizi del XX secolo. Studiando le valli alpine tra l’Austria e la Germania, Albrecht Penck and Eduard Brückner dimostrarono che nel corso del Quaternario le Alpi furono ricoperte a più riprese da estese coperture glaciali. Classificarono nel dettaglio la successione delle glaciazioni in una monumentale monografia in lingua tedesca (1199 pagine!) dal titolo «Die Alpen im Eiszeitalter I—III“ (1901/1909), in cui evidenziarono la sequenza e la durata di 4 principali periodi glaciali, che nominarono (dal più antico al più recente) Günz, Mindel, Riss e Würm. Barthel Eberl nel 1930 ne aggiunse poi uno ancora più antico che fu denominato Donau.

I cicli di Milanković
Nei primi decenni del XX secolo, Milutin Milanković, matematico e astrofisico, direttore dell’osservatorio astronomico di Belgrado, diede un contributo fondamentale alla comprensione delle variazioni climatiche del pianeta. A partire dagli anni ’10 del XX secolo Milanković sviluppò tecniche di calcolo per descrivere la variazione dell’intensità dell’insolazione ricevuta (radiazione solare incidente al limite superiore dell’atmosfera) dalle diverse fasce di latitudine della Terra nelle diverse stagioni in funzione delle variazioni dei parametri dell’orbita terrestre.

Il suo modello matematico descrive come le variazioni cicliche di tre elementi principali che caratterizzano la geometria dell’orbita terrestre nel suo percorso nello spazio intorno al Sole producono variazioni periodiche nella quantità di energia solare che raggiunge il pianeta alle diverse latitudini. Questi elementi dell’orbita terrestre comprendono:
- Variazioni nell’eccentricità dell’orbita — ovvero la forma dell’orbita della Terra intorno al Sole. Questa variazione porta l’orbita terrestre ad assumere forme da pressoché circolare a lievemente ellittica con periodicità tipiche di circa 400mila e 100mila anni;
- Nutazione dell’asse di rotazione terrestre, variazioni nell’obliquità dell’asse di rotazione terrestre — ovvero cambiamenti nell’inclinazione dell’asse di rotazione terrestre rispetto al piano dell’orbita intorno al Sole (eclittica). L’inclinazione dell’asse di rotazione deterreste rispetto all’eclittica varia tra 21.5 e 24.5° con periodicità di circa 41 mila anni;
-
Moto di precessione — ovvero il cambiamento dell’orientazione dell’asse di rotazione terrestre, che si comporta come l’asse di una trottola quando comincia a rallentare e traccia un cerchio nella sfera celeste nel corso dei millenni. Questa variazione ha periodicità di circa 23 mila e 19 mila anni. A causa del moto di precessione l’asse di rotazione terrestre che ora punta verso la Stella polare, tra circa 12 mila anni punterà invece verso la stella Vega, la stella più brillante della costellazione della Lira.


Milanković fornì quindi un’interpretazione dei cambiamenti climatici periodici a lungo termine che avvengono sul nostro pianeta mettendoli in correlazione con le variazioni dell’eccentricità orbitale, dell’inclinazione dell’asse terrestre e della precessione degli equinozi. Considerando questi tre parametri orbitali, Milanković formulò un modello matematico che consentì di calcolare le differenze nell’insolazione ricevuta per ciascuna latitudine per gli ultimi 600 mila anni. Considerando come anno zero il 1800 d. C., Milanković eseguì i calcoli per intervalli di 10º di latitudine tra i 5º e i 75º per entrambi gli emisferi. I valori ottenuti furono elaborati in una serie di tabelle numeriche e curve pubblicate nel volume “Cimate of the Geological Past” (1924), curato da Wladimir Köppen e Alfred Wegener.
Il risultato combinato di queste variazioni dell’orbita terrestre causa una variazione naturale dell’insolazione che porta il nostro pianeta a ricevere, in periodi diversi, maggiori o minori quantità di calore dal Sole. Nel suo lavoro principale “Canon of Insolation and its Application to the Ice-age Problem” pubblicato nel 1941, Milanković cercò quindi di correlare i cicli dei parametri che caratterizzano l’orbita terrestre con l’alternanza delle epoche glaciali del Quaternario. Si spinse anche a prevedere i futuri cambiamenti climatici. Queste oscillazioni periodiche del clima sono oggi note come cicli di Milanković.
La teoria di Milanković ebbe comunque scarsa eco scientifica per decenni. La sua analisi matematica non riusciva a riconciliarsi con la successione delle epoche glaciali evidenziate dalla geologia di terreno (secondo lo schema proposto studiando le valli alpine da Penck e Brückner). Ma a partire dalla fine degli anni ’50 del XX secolo nuove tecnologie di analisi cominciarono a fornire ulteriori evidenze e conferme che portarono ad una rivoluzione nella comprensione delle variazioni climatiche nel passato geologico. Di questa storia scientifica ci occuperemo in un prossimo post del nostro Blog.