Il sottile filo che lega ricerca e divulgazione scientifica

La divulgazione scientifica ha l’arduo compito di portare nella vita dei cittadini i risultati della ricerca scientifica. Grazie ad essa l’utente può approfondire le tematiche che gli interessano mantenendo la consapevolezza sugli sforzi anche economici portati avanti dalla comunità scientifica. La divulgazione ha quindi un ruolo molto importante ed è necessario che riporti correttamente i dati senza cadere nel sensazionalismo che può condurre facilmente verso la perdita di credibilità.

di Stefano Urbini

In questi giorni ho letto con grande interesse la divulgazione relativa ad un articolo scientifico riguardante un’indagine geofisica eseguita a Falerii Novi. Lo studio è stato condotto da un gruppo di studiosi dell’Università di Cambridge, facoltà di Studi classici, e del dipartimento belga di archeologia di Ghent.

Falerii Novi è un’antica città romana in provincia di Viterbo, a metà strada tra l’abitato di Fabrica di Roma e Civita Castellana. È stata oggetto, in questo caso, di un estensivo rilievo tramite tecnica elettromagnetica radar (Ground Penetrating Radar, GPR) e misura del gradiente magnetico verticale. I risultati descritti sono molto rilevanti perché il dettaglio definito dagli studiosi delle strutture sepolte è davvero molto elevato.

Nei giorni successivi all’articolo scientifico sono seguiti molti articoli divulgativi su varie riviste e quotidiani.

La lettura di tutto questo materiale mi ha portato a provare diversi sentimenti. Il primo è di felicità perché, come ricercatore, so quanto lavoro, impegno e dedizione c’è dietro la realizzazione di uno studio come quello illustrato.

La modalità della comunicazione divulgativa invece mi ha lasciato piuttosto perplesso.

Il lavoro, pubblicato sulla rivista scientifica Antiquity, sicuramente riporta dei risultati importanti per il sito archeologico. Riporta dettagli molto chiari e nitidi, ottenuti su una vasta area di indagine. Sono state infatti messe in evidenza alcune importanti strutture senza che venisse effettuato alcuno scavo. Dal punto di vista archeologico questo lavoro aggiunge un importante tassello che arricchisce la conoscenza della storia passata del nostro territorio.

Le comunicazioni diffuse attraverso la stampa nazionale, complice forse una scelta non proprio indovinata del titolo dell’articolo originale accompagnata ad una sua lettura superficiale, riconducono invece il successo di tale scoperta all’impiego di strumenti tecnologici definiti innovativi. E questo aspetto mi è parso molto meno convincente e vi spiego perché.

Fra le frasi riportate nella comunicazione scientifica alcune sono state, a mio parere, troppo enfatizzate:

  • Una città sotterranea scoperta senza scavare, ma usando una tecnologia chiamata Ground penetrating radar (Gpr) che promette di rivoluzionare l’archeologia.”
  • «Il sorprendente livello di dettaglio che abbiamo raggiunto a Falerii Novi e le avanzate caratteristiche del Gpr utilizzato suggeriscono che questo tipo di indagine potrebbe trasformare il modo con cui gli archeologi indagano i siti urbani del passato. È emozionante e ora realistico immaginare che il Gpr possa essere utilizzato per studiare città come Mileto in Turchia, Nicopoli in Grecia o Cirene in Libia»

L’applicazione delle tecniche geofisiche di esplorazione, nate principalmente per indagini geologico-strutturale su tematiche archeologiche, risale ormai a più di 20 anni fa. L’esplorazione indiretta del suolo permette infatti agli archeologi di focalizzare gli scavi, in genere molto costosi, su piccole aree mirate permettendo di risparmiare tempo e denaro. Di tutte le tecniche a disposizione, l’integrazione di dati GPR e del gradiente magnetico verticale è quella che per eccellenza fornisce i risultati migliori e viene universalmente impiegata prima di qualsiasi campagna di scavo. Il progresso tecnologico della strumentazione, delle tecniche di elaborazione e della visualizzazione dei dati permette infatti di realizzare mappe di siti archeologici utilizzabili quasi come un “Tuttocittà”.

Tutto questo ha rivoluzionato, già da qualche anno, alcuni aspetti delle campagne di indagine archeologiche, in particolare la mappatura delle strutture sepolte e la pianificazione dello scavo. La parte importante relativa alla comprensione della storia delle città antiche, la loro ascesa, la loro scomparsa o il loro sviluppo resta ad appannaggio esclusivo degli archeologi.

Focalizzando il contenuto dell’articolo scientifico pubblicato, gli autori integrano i risultati delle due tecniche di riferimento sopra descritte (e non solo del GPR come riportato nella comunicazione dei media) cercando un modo analitico efficiente per estrarre rapidamente le strutture di interesse da una grande mole di dati. Quest’ultimo aspetto è sicuramente un obiettivo rispettabile ma tecnologicamente non rappresenta di certo una grande novità, tenendo conto dell’enorme sviluppo degli algoritmi di estrazione delle informazioni richiesto dalle moderne analisi di immagini satellitari.

La tecnica GPR impiegata nelle indagini archeologiche

Grazie all’impiego di alte frequenze, il GPR ha la capacità di “vedere” strutture di dimensioni anche di pochi centimetri. Attraverso una fitta rete di linee di misura si realizzano sezioni tridimensionali molto dettagliate del terreno a diverse profondità (in genere fino a 1.5-2 m) che consentono di ricostruire la geometria delle strutture archeologiche sepolte.

Tali maglie di misura, nel caso di questa tecnica, possono essere realizzate sia con strumenti a singolo canale che con strumenti multicanale, consentendo di utilizzare più antenne simultaneamente. Risulta quindi ovvio che per coprire grandi aree, la multi antenna (soluzione adottata dagli autori dell’articolo che stiamo esaminando) permetta di risparmiare molto tempo.

Sistema GPR a singolo canale (indagine INGV a Castrum Novum (Civitavecchia, RM)
Sistema GPR multicanale

Uno dei limiti di questo sistema però è quello di non poter essere usato laddove il terreno presenti ostacoli diffusi (piantumazione ad esempio) e/o profonde irregolarità del fondo.

figura per articolo di divulgazione scientifica
Esempio di area difficilmente indagabile con sistema multicanale (indagine INGV a Castrum Novum (Civitavecchia, RM) 

Sono ormai anni che esistono in commercio strumenti GPR multicanale molto efficienti impiegati con successo (con qualche insuccesso) in svariati tipi di indagine archeologica. Per citarne uno fra questi, ricordiamo la ricerca, tuttora infruttuosa, della famosa stanza di Nefertiti all’interno della tomba di Tutankhamon.

Questi efficaci strumenti hanno però costi molto elevati (anche ben oltre i centomila euro). Con la scarsezza di fondi di cui dispone la ricerca italiana, ed in particolare quella archeologica, risulta praticamente impossibile dotarsi di strumenti del genere. Per questo motivo si finisce ad assegnare un ruolo da protagonista a università straniere che investono più soldi di noi per formare il loro personale nei nostri siti unici al mondo.

Inoltre, come è stato in parte riportato anche nell’articolo, il metodo GPR non funziona ovunque. Molto dipende dalle caratteristiche dei terreni mappati ma anche dallo stato di conservazione dei siti che può concorrere a limitare notevolmente l’efficacia delle indagini. Molte volte infatti i terreni indagati sono sottoposti a disfacimento dovuto al riuso per scopo agricolo o al riuso dei materiali di costruzione.

Altre moderne tecniche di indagine in ambito archeologico

Per completare il quadro degli strumenti disponibili a questo tipo di indagine ricordiamo: il LIDAR e la fotogrammetria multispettrale, entrambe effettuate da drone.

Il LIDAR (acronimo dall’inglese Light Detection and Ranging o Laser Imaging Detection and Ranging) è una tecnica di telerilevamento che permette di determinare la distanza di un oggetto o di una superficie utilizzando un impulso laser. Con il LIDAR è possibile localizzare e ricavare immagini e informazioni su oggetti molto piccoli, di dimensioni pari alla lunghezza d’onda usata. La combinazione di GPS e LIDAR aerotrasportati può fornire mappe altimetriche del terreno estremamente accurate, in grado di rivelare l’elevazione del suolo anche in presenza di alberi. Questa accuratezza permette di rivelare le anomalie di elevazione del terreno dovute alla presenza di eventuali strutture archeologiche sepolte.

La fotogrammetria da drone permette invece di ottenere delle immagini del terreno a risoluzione centimetrica. Inoltre consente di mappare efficacemente i risultati dello scavo, semplificando operazioni che in passato occupavano molto tempo lavoro.

immagine da drone per divulgazione scientifica
Impiego della fotogrammetria da drone per la mappatura dei risultati di scavo archeologico (indagine INGV a Castrum Novum, Civitavecchia, RM).

Voglio sottolineare che su questi temi (nel campo della geofisica applicata all’archeologia) in Italia abbiamo tante eccellenze. Basta digitare poche parole chiave su internet per trovare bellissimi lavori con risultati analoghi a quelli ottenuti a Falerii Novi.

Concludendo quindi, sulla base delle considerazioni sopra esposte, la modalità comunicativa del lavoro scientifico sopracitato finisce per spostare l’attenzione dei lettori su aspetti secondari a discapito dei risultati salienti e dell’essenza del lavoro stesso con lo scopo principale di catturare l’attenzione del lettore.

Il sottile legame fra ricerca e informazione si sviluppa quindi lungo questo sentiero che parte dalla notizia scientifica per arrivare alla notizia fruibile da parte del lettore. Sia la ricerca che l’informazione dovrebbero collaborare affinché il sentiero possa essere percorso nel modo più asettico possibile. L’obiettivo è quello di riportare esattamente la realtà per quella che è, rendendo fruibile, comprensibile e appassionante l’argomento specifico indagato.

I risultati della ricerca scientifica devono essere sempre più presenti nella vita dei cittadini, per dar modo all’utente di approfondire le tematiche proposte e magari conoscere ed apprezzare particolari curiosi e originali. Per questo motivo la divulgazione scientifica è importantissima ed è necessario che riporti correttamente gli obiettivi ed i risultati ottenuti dalla ricerca scientifica.

Se ciò non dovesse avvenire, il rischio è quello di incorrere nella sconfitta più grande: la perdita di credibilità.