SuperDARN: come “fotografare” la ionosfera con i radar

Tutti sappiamo, a grandi linee, cosa sia un “radar”. Al cinema e in televisione spesso lo vediamo in azione nella sua applicazione più nota, ovvero in ambito militare, per identificare oggetti volanti in avvicinamento ben prima che ci raggiungano. Ma, ai poli, esistono anche radar che guardano dritto sopra le nostre teste per studiare l’alta atmosfera terrestre.

di Igino Coco

La Terra si trova immersa nel vento solare, un flusso di particelle elettricamente cariche che il Sole emette nello spazio e che permea tutto il sistema solare. Grazie al campo magnetico di cui è dotato, il nostro pianeta ne viene efficacemente schermato. Se il vento solare riuscisse a penetrare in modo massiccio nell’atmosfera, ne perturberebbe seriamente gli equilibri chimici, mettendo a rischio lo sviluppo della vita stessa. Il “guscio” formato dal campo magnetico terrestre sotto l’azione di spinta del vento solare prende il nome di “magnetosfera”. L’attività del Sole modula continuamente il flusso di particelle, con effetti di varia natura ed intensità osservabili sia dalla superficie della Terra, sia a bordo di satelliti in orbita. Un esempio tra i più noti e spettacolari di questa interazione è costituito dalle aurore polari, i fenomeni luminosi osservabili alle alte latitudini in occasione di elevata attività solare.

Gli effetti che osserviamo a terra dell’interazione tra vento solare e magnetosfera spesso sono dovuti alle correnti elettriche che si inducono nella ionosfera, la parte più alta dell’atmosfera terrestre la quale, a sua volta, contiene una elevata percentuale di particelle elettricamente cariche.

Capire come queste correnti evolvano dinamicamente è di grandissima importanza proprio a causa dell’impatto che, secondo diverse modalità, possono avere sulla vita di tutti i giorni. Per esempio esse possono disturbare fortemente i segnali che arrivano dai satelliti della rete GNSS, causando errori di posizione del nostro GPS o, addirittura, la perdita totale del segnale (per approfondire guarda questo post) rendendo inutili i nostri sofisticati sistemi di orientamento.

Inoltre, quando le correnti nella ionosfera variano bruscamente e aumentano di intensità, il campo magnetico terrestre potrebbe “trasferire” delle correnti elettriche indotte fino al suolo, le quali si potrebbero innestare sulle linee elettriche portando addirittura al danneggiamento dei trasformatori nelle cabine di scambio e causando, nei casi più estremi, estesi blackout (Correnti Geomagneticamente Indotte, si veda per esempio questo post).

Per questo motivo è importante monitorare lo stato della ionosfera e osservare i fenomeni che qui hanno luogo, in particolare nella ionosfera polare dove essi hanno maggiore impatto.

In questo quadro, importanti osservazioni arrivano dall’utilizzo di particolari radar, che costituiscono la rete SuperDARN.

La rete SuperDARN

L’acronimo “SuperDARN” significa Super Dual Auroral Radar Network, e identifica una rete di installazioni radar situati alle medie e alte latitudini, sia nell’emisfero Nord sia nell’emisfero Sud. Ogni installazione funziona in modo sincronizzato a tutte le altre e senza interruzioni (eccezion fatta per sporadici malfunzionamenti o periodi di manutenzione pianificata), ed è costituita da una schiera di 16 antenne, per un’estensione pari a circa quattro campi da calcio. La geometria è studiata per poter indirizzare, nel modo più efficace possibile, un fascio di onde radio lungo 16 direzioni contigue, in maniera da coprire un campo di vista di circa 52°.

I campi di vista di tutti i radar attualmente operativi si possono vedere schematizzati in Figura 1. Si può notare come questi spesso si sovrappongano, dando luogo a un intreccio (“DARN”, in inglese, significa proprio questo: trama, rammendo, cucitura) che ricopre una vastissima porzione di spazio, in modo da coprire spesso una stessa regione di spazio ma da differenti angolature.

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Figura 1: i campi di vista dei radar della rete SuperDARN. Copyright: Virginia Tech.

Come funzionano i radar SuperDARN?

Per poter capire il funzionamento di un radar del tipo di SuperDARN, dobbiamo partire un po’ da lontano e fornire qualche informazione di base sul concetto di radar.

Le nostre orecchie sono dei radar?

La risposta a questa bizzarra domanda è: in un certo senso sì. L’apparato uditivo degli esseri umani come di molti altri animali, infatti, è in grado di decodificare le vibrazioni e modulazioni contenute nelle onde sonore, che si propagano nell’aria o in qualunque altro mezzo denso. Se ci trovassimo fermi rispetto a un oggetto in movimento che emette onde sonore, noteremmo che l’altezza del suono cambia, passando da più acuto a più grave man mano che l’oggetto si avvicina a noi e poi si allontana di nuovo. Si chiama “effetto Doppler”, e lo sperimentiamo continuamente, per esempio quando un’ambulanza o un’auto della polizia a sirene spiegate ci passano vicino. La sorgente, in realtà, continua a emettere onde sempre con la stessa frequenza, ma il moto relativo tra sorgente e osservatore (o, in questo caso, sarebbe meglio dire “ascoltatore”) causa una compressione o dilatazione della frequenza percepita. Se il nostro cervello contenesse un oscilloscopio, saremmo in grado di misurare questa nuova frequenza e, calcolando il rapporto con la frequenza originale della sirena, potremmo ricavare la velocità con cui si muove la sorgente.

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Figura 2: visualizzazione schematica dell’effetto Doppler. Copyright

Il radar a effetto Doppler

Un radar a effetto Doppler funziona, tutto sommato, in modo piuttosto simile alle nostre orecchie. La differenza fondamentale è che in questo caso lui, il radar, è sia sorgente che osservatore. Esso emette un segnale elettromagnetico di frequenza nota che rimbalzando contro un oggetto in movimento, viene totalmente riflesso all’indietro. Il radar infine lo misura con una frequenza leggermente modificata da cui si può risalire alla velocità dell’oggetto, in avvicinamento o in allontanamento.

In questo modo, un radar militare esegue una “spazzata” focalizzando la sua emissione lungo direzioni via via differenti del suo campo di vista coprendo, al limite, un’intera circonferenza. Se l’onda emessa incontra, ad esempio, un aereo in avvicinamento, esso apparirà sullo schermo del radar e sarà possibile capire da che direzione proviene e a che velocità sta andando. Inoltre, misurando il lasso di tempo che intercorre tra il segnale emesso e quello ricevuto indietro, si può determinare quanto è lontano da noi l’oggetto in questione.

Le applicazioni del radar, al giorno d’oggi, sono sterminate: dall’ambito dell’aviazione e navigazione civile o militare, all’indagine del sottosuolo (il cosiddetto “georadar”, si veda, per esempio, questo post).

Vi sono anche applicazioni che riguardano la ricerca scientifica in campo atmosferico e ionosferico. Di fatto, il primo prototipo di un simile apparato fu proprio la cosiddetta “ionosonda”, realizzata negli anni 20 dello scorso secolo. La ionosonda sfrutta la riflessione verticale di strati di atmosfera ionizzati, ovvero molto ricchi di ioni ed elettroni liberi, che si trovano tra circa 100 e 300 km di quota. Tale apparato fu poi modificato e perfezionato durante la Seconda Guerra Mondiale fino ad ottenere il moderno radar. La storia più dettagliata della ionosonda e della nascita del radar si può leggere qui.

Cosa misurano nella pratica i radar SuperDARN?

Immaginiamo un torrente di montagna che scorra in una certa direzione. Il moto dell’acqua, in generale, non è quasi mai liscio e omogeneo, ma presenta onde o piccoli vortici e mulinelli. In alcuni casi questi vortici restano stazionari in un punto (ad esempio se si formano in prossimità di ostacoli come rocce affioranti o variazioni di pendenza). In altri casi vengono trasportati dalla corrente per un tratto, finché non si dissolvono.

Anche l’atmosfera terrestre può essere pensata come un fluido. All’acqua è necessario sostituire le masse d’aria che si spostano sotto l’azione dei gradienti termici e di pressione. Agli strati più alti, nella ionosfera, la dinamica delle masse di particelle ionizzate è pilotata da un complesso sistema di correnti elettriche, a loro volta generate dall’interazione del campo magnetico terrestre con il vento solare, come abbiamo accennato sopra.

In Figura 3 possiamo vedere uno schema degli effetti di tale interazione alle alte latitudini. La catena di eventi è più o meno la seguente:

1) le particelle cariche del vento solare raggiungono la Terra ma vengono in gran parte fermate dal suo campo magnetico, e non riescono a penetrare, se non in minima parte, nella magnetosfera;

2) scivolando lungo i fianchi della magnetosfera, il vento solare induce delle correnti elettriche nel suo lato interno che si propagano in direzione opposta al Sole;

3) il campo magnetico terrestre funge da guida per tali correnti che scendono nella ionosfera e poi risalgono (correnti allineate al campo), attraversando le cappe polari nella direzione alba-tramonto (correnti perpendicolari al campo, o correnti di Pedersen);

4) le particelle cariche della ionosfera, seguendo le leggi dell’elettrodinamica, vengono messe in movimento da queste correnti lungo due grandi vortici (le linee gialle in figura), proprio come se fossero dei fiumi.

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Figura 3: schema delle correnti ionosferiche alle alte latitudini.

All’interno di questo flusso ordinato è presente un gran numero di cosiddette “irregolarità”. Sono l’equivalente dei piccoli vortici nel fiume di cui abbiamo parlato poco sopra, che si formano e si rompono in modo molto dinamico. Nel caso della ionosfera, più che di veri e propri vortici, parliamo di compressioni e rarefazioni locali della densità del flusso di particelle. Si comportano come se fossero dei piccoli “tappi” di flusso più denso che si muovono insieme al flusso principale. Quando un’onda radio di opportuna frequenza viene inviata verso la ionosfera, se la dimensione spaziale di questi tappi è dello stesso ordine di grandezza della lunghezza d’onda, essa viene rimbalzata all’indietro ritornando verso il punto di partenza. Il radar rileva l’onda di ritorno, sfasata per effetto Doppler rispetto all’onda emessa, perché l’ostacolo incontrato si muove rispetto al radar con un certa velocità. Così, proprio come avviene per i radar usati in modo più tradizionale, riusciamo a determinare la velocità di un certo punto del flusso ionosferico. Infine, puntando tanti radar in direzioni diverse, ricostruiamo il moto complessivo delle particelle cariche nella ionosfera. E’ un po’ come fare una fotografia o una lastra a raggi X.

In Figura 4 è possibile vedere un esempio di ricostruzione del moto delle particelle cariche nella ionosfera polare dell’emisfero Nord. Tale moto si organizza in due grandi vortici, come detto sopra, o celle di convezione, che “respirano” al variare delle condizioni del vento solare. Quando ci sono le cosiddette eruzioni di massa coronale sul Sole, flussi molto intensi di particelle arrivano nei pressi della Terra. Il sistema di correnti sopra descritto si intensifica enormemente e il campo magnetico terrestre risulta perturbato a livello globale (tempeste magnetiche). Come conseguenza le celle di convezione diventano molto più estese. Poiché molte particelle precipitano nella ionosfera, aumenta anche il numero delle irregolarità e diventa più intenso il segnale misurato dai radar.

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Figura 4: esempio di convezione ionosferica ricostruita grazie ai radar SuperDARN. Mappa generata on line dal sito: http://vt.superdarn.org/tiki-index.php 
L’Italia e SuperDARN

Nell’ambito di SuperDARN, il Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA) ha finanziato la costruzione di due radar. Il sito che le ospita è la base italo-francese Concordia, a Dome C, nel mezzo del plateau antartico, a più di 3000 metri di quota. L’impresa ha richiesto uno sforzo logistico e tecnico considerevole. Sono state impegnate diverse istituzioni italiane (INAF, CNR ed ENEA) ed estere (CNRS e IPEV da parte francese, e un supporto dall’università del Saskatchewan, Canada) per più di quindici anni. Alla fine del 2013 il primo radar, denominato “Dome C East” (DCE) ha iniziato le operazioni, seguito da “Dome C North” (DCN) a inizio 2019. Entrambi i radar sono gestiti dall’Istituto Nazionale di Astrofisica e ricercatori INGV collaborano attivamente con i colleghi dell’INAF per l’analisi dei dati.

L’immagine di copertina mostra una veduta della schiera di antenne del radar DCE con lo sfondo del sole che tramonta sul plateau antartico. Quando la lunga notte polare ha inizio, i radar sono completamente isolati per più di sei mesi. Nessuno può raggiungere il sito, che dista solo pochi chilometri dalla base, poiché d’inverno le temperature possono arrivare a -90°. Sarebbe troppo pericoloso rimanere all’aperto anche solo per pochi minuti. Questo rende l’idea di come l’apparato debba essere il più possibile robusto, affidabile, e automatizzato.


I crediti dell’immagine di copertina sono PNRA/IPEV