Ozono: il fragile guscio che circonda la Terra

La salvaguardia dello “scudo naturale” della Terra dai raggi ultravioletti del Sole è ricordata il 16 settembre, Giornata Internazionale per la Preservazione dello Strato d’Ozono

di Maria Di Nezza e Giovanni Muscari

Il 16 settembre di ogni anno è celebrata la Giornata Internazionale per la Preservazione dello Strato d’Ozono, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1994. E’ stata fissata in questa data per celebrare la firma del Protocollo di Montreal, ratificata da numerose nazioni, avvenuta nel 1987.

Il protocollo è lo strumento operativo per ridurre l’utilizzo da parte dell’uomo di quelle sostanze chimiche che assottigliano l’ozonosfera. Principalmente ricorda cosa è necessario fare per tutelare i suoi ecosistemi. Onorare il Protocollo di Montreal è l’esempio tangibile dell’impegno internazionale per la protezione del nostro ambiente.

Cos’è l’ozono?

L’ozono è un gas atmosferico capace di filtrare i raggi ultravioletti (UV) nocivi per l’uomo. È un vero e proprio “scudo naturale”. La molecola, costituita da tre atomi di ossigeno (O₃), è concentra in uno strato dell’atmosfera  tra i 14 e 30 km di quota, chiamato ozonosfera. L’ozonosfera è fondamentale perché non permette il passaggio della parte più nociva della componente ultravioletta (UV) della radiazione solare. In particolare l’ozono stratosferico trattiene completamente le radiazioni UVC, il 95% di UVB e il 5% di UVA. Queste radiazioni sono dannose per cute ed occhi come riscontrato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS).
La formazione dell’ozonosfera ha permesso inoltre lo sviluppo della vita sulla Terra.

Gli strati dell’atmosfera terrestre

Nella stratosfera le molecole di ozono assorbono radiazione UV e vengono scisse in una molecola di ossigeno (O2) ed un atomo di ossigeno (O). Quest’ultimo urta contro una molecola di O2 formando di nuovo una molecola di ozono. In questo modo l’alternarsi di creazione e distruzione continua di molecole di ozono garantisce che ci sia sempre uno strato di ozono stratosferico a difesa della vita sulla Terra.

La storia delle scoperte

La scoperta che gas artificiali, clorofluorocarburi (CFC), fossero una minaccia per il pianeta avvenne per caso nei primi anni’70. Paul J. Crutzen, chimico olandese dell’Università di Oxford, scoprì che il protossido di azoto (N₂O), prodotto dai batteri del suolo, assottigliava lo strato di ozono. Tale composto chimico era però prodotto anche dagli aerei. Crutzen è noto anche per aver coniato il termine Antropocene per descrivere l’era geologica modellata dall’umanità.
Il professor Frank Sherwood Rowland, docente di chimica all’Università della California, e il suo assegnista di ricerca Mario Molina, sulla base della scoperta di Crutzen, volevano verificare se anche i CFC avessero un effetto simile.
Così nel 1974 Molina e Rowland compresero che i gas clorofluorocarburi (CFC) rilasciano atomi di cloro nella stratosfera alterando l’equilibrio della molecola di ozono. Spiegarono il meccanismo di cattura da parte del cloro di uno dei tre atomi di ossigeno della molecola di ozono (O₃), causa dell’assottigliamento dello strato di ozono.
Nel 1995, per questa importante scoperta, Molina e Rowland insieme a Crutzen ricevettero il Premio Nobel per la Chimica “per il loro lavoro sulla chimica dell’atmosfera, in particolare riguardo alla formazione e la decomposizione dell’ozono”.

Giovedì 7 dicembre 1995, Premio Nobel americano per la chimica, Professore Mario J. Molina, centro, Professore americano F. Sherwood Rowland, sinistra, e il professore olandese Paul J. Crutzen, alla destra. (Foto AP/Martina Huber)

A metà degli anni Ottanta del secolo scorso, per la prima volta, furono riscontrati i primi segnali di danneggiamento dello strato di ozono. Nella base British Antartic Survey, nel 1985, Joseph Charles Farman scoprì una progressiva diminuzione della quantità totale di ozono in Antartide. Le misure registrate ogni mese di ottobre dal 1957 attestano un decremento rapido a partire dalla metà degli anni ’70.

Variazione giornaliere dell’O₃ nella Baia di Halley (a) e nelle Isola Argentine (b) da Farman et al 1985

Oggi sappiamo che il buco dell’ozono è un fenomeno che ha una cadenza stagionale. Negli ultimi decenni si è verificato tutti gli anni a partire dal mese di agosto, quando il sole torna ad illuminare la regione antartica, e persiste fino approssimativamente ai primi di dicembre, mostrando un minimo nel contenuto di ozono in stratosfera nel mese di ottobre.
Veder comparire il buco dell’ozono anche al Polo Nord è invece un fenomeno più raro. Qui la perdita di ozono stratosferico è stata individuata per la prima volta nell‘inverno del 1991-92. Tra gli episodi più recenti c’è quello dell’inverno del 2015-2016 e del 2010-2011. Nel marzo 2011 è registrata una perdita di ozono comparabile a quella del buco antartico (leggi un approfondimento qui).

Da cosa è causato il “buco dell’ozono”

L’ozono stratosferico, oltre a essere coinvolto in dinamiche di creazione-distruzione nelle interazioni dell’ossigeno atomico e molecolare, viene distrutto anche quando reagisce con molecole che contengono azoto, idrogeno, cloro o bromo. L’immissione di CFC in atmosfera ad opera dell’uomo ha alzato la concentrazione di alcune di queste molecole causando lo straordinario assottigliamento dell’ozono stratosferico sopra l’Antartide.

I CFC sono degli idrocarburi, nella cui struttura molecolare, gli atomi di idrogeno sono sostituiti in parte o del tutto da atomi di cloro e fluoro. È proprio l’atomo libero di cloro che entrando in circolo nella stratosfera crea lo smembramento della molecola dell’ozono.
I CFC avevano una vasta gamma di applicazione in ambito industriale. Utilizzati per nebulizzare i prodotti contenuti nelle bombolette spray come deodoranti e prodotti per la casa, come refrigeranti dei frigoriferi e climatizzazione o per gli estintori, per la realizzazione di materie plastiche in quanto stabili strutturalmente e dal punto di vista termico.

Decisione internazionale

La relazione tra attività umane e ripercussioni su scala globale dell’equilibrio dell’atmosfera è il primo segnale tangibile di un cambiamento climatico di origine antropica.
La spiegazione scientifica di Molina e Rowland imponeva misure drastiche a livello mondiale per bandire l’utilizzo dei CFC.
La consapevolezza dell’assottigliamento o addirittura della distruzione temporanea dello strato di ozono ha portato alla firma del Protocollo di Montréal il 16 settembre del 1987.
Entrato in vigore nel 1989 il protocollo, firmato da 46 paesi, imponeva la progressiva riduzione della produzione di CFC.
Gli Stati Uniti e l’Unione Europea dichiararono nel 1989 che avrebbero cessato la produzione dei cinque più comuni CFC entro il 2000. La decisione condivisa a Londra nel 1990 da oltre 90 paesi del mondo. Qui è stata sottoscritta la sospensione della produzione di gas CFC dopo che la scoperta del fenomeno cominciò ad apparire anche sopra il polo Nord. Tale accordo è raggiunto grazie anche alla costituzione di un fondo per sostenere la conversione dai CFC ad altri prodotti.
L’attuazione dell’accordo internazionale prevedeva di adottare misure drastiche per la produzione e consumo globali di sostanze che impoveriscono lo strato di ozono. L’obiettivo era però l’eliminazione totale di quelle sostanze sulla base degli sviluppi delle conoscenze scientifiche e delle informazioni tecnologiche.

Monitoraggio satellitare

Con il lancio in orbita dei satelliti artificiali intorno alla Terra si iniziò ad avere informazioni più dettagliate sulle variazioni a scala globale dell’ozonosfera.
L’Agenzia Spaziale Europea (ESA), come il National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), monitora i cambiamenti dello strato di ozono su scala globale utilizzando i dati della costellazione satellitare Copernicus con Sentinel-5P. Dal 1995 grazie al Global Ozone Monitoring Experiment–2 (GOME-2) è possibile ottenere serie temporali europee. GOME-2 è uno spettrometro ottico che permette di ottenere un quadro dettagliato del contenuto atmosferico totale di ozono e del profilo verticale dell’ozono nell’atmosfera.
La missione Atmospheric Limb Tracker for Investigation of the Upcoming Stratosphere (ALTIUS), il cui lancio è previsto nel 2025, fornirà contenuti di azoto ed altri gas in traccia nell’alta atmosfera. Questa missione utilizzerà spettrometri ad alta risoluzione per previsioni meteorologiche e monitorare le tendenze a lungo termine.

Prospettive future

Secondo le ultime valutazioni scientifiche presentate all’ONU, grazie alle misure adottate in seguito alla firma del Protocollo di Montreal, il buco dell’ozono si starebbe riducendo.

Ad affermarlo lo scienziato Paul A. Newman che, alla guida di un team di 300 scienziati, ha recentemente pubblicato il rapporto condotto dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) e l’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM), con la partecipazione della NASA, della Commissione europea e del National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA).
Se le misure adottate dai diversi paesi saranno mantenute in vigore, come da Protocollo di Montreal, entro il 2066 lo strato di ozono sopra l’Antartide si sarà completamente riformato, tornando ai livelli pre-1980, entro il 2045 sopra l’Artico e nel 2040 per il resto del mondo.

Variazione dello strato di ozono misurato e predetto a scala globale (c) e nella zona Antartica (d) in base all’immissione di CFC nell’atmosfera (a)

Tuttavia, ha precisato il direttore esecutivo di Unep, Achim Steiner, esistono enormi sfide ancora in atto e il successo del Protocollo di Montreal dovrebbe incoraggiare ulteriori azioni non solo sulla protezione dell’ozono ma anche sul clima.
Il Protocollo di Montreal è un esempio di eccezionale cooperazione internazionale, probabilmente l’accordo di maggior successo tra Nazioni, come ha ricordato Kofi Annan, ex segretario dell’ONU.

L’impegno INGV

Dal 2009 personale dell’INGV raccoglie dati circa la distruzione dell’ozono stratosferico. Le misure vengono eseguite presso la base aerea americana di Thule, in Groenlandia (76.5°N 68.8°O). L’osservatorio Thule High Arctic Atmospheric Observatory dedicato a studi atmosferici, è gestito in collaborazione con ENEA, Università di Roma “La Sapienza”, Università di Firenze e con gli enti americani NCAR e NSF.


Per approfondire:


 

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