Oceano e clima, un legame indissolubile

di Vincenzo Artale

L’estate si avvicina, fa caldo, fa freddo, piove tantissimo quando non ce lo aspettiamo. Non capiamo più niente, siamo disorientati, impauriti. Ci lamentiamo che le stagioni non sono più quelle di una volta.

Può capitare che, in piena estate, l’accadimento di uno di questi eventi non aspettati, che gli esperti chiamano estremi, ci induca a riflettere. E non più dal solito e consueto punto di osservazione costituito dal lettino in affitto sulla spiaggia davanti al Castello di Santa Severa, ma in piedi sulla sabbia umida e con l’ombrello in mano, su questa immensa distesa d’acqua in continuo ed instancabile movimento che può, ad alcuni, indurre calma, ma ad altri innervosire!

Comunque, cogliamo questo attimo di abbandono per svelare i segreti di questo misterioso e morbido fluido, troppo spesso poco considerato, che ci circonda e che si sviluppa per i tre quarti della superficie terrestre.

I movimenti del mare

Il mare, o meglio l’oceano, non è per niente calmo!

Le masse d’acqua di cui è costituito sono in continuo movimento partendo dagli strati superficiali fino a quelli più profondi. L’oceano è un fluido che non raggiunge mai uno stato di equilibrio: su di esso agiscono continuamente delle forze, principalmente di gravità e di attrito indotte dal vento, che lo deviano continuamente dagli stati di equilibrio via via conquistati con fatica.

Perché succede questo?

Perché la Terra è un oggetto di forma geometrica quasi sferica che ruota intorno ad un asse (immaginario) inclinato di circa 23 gradi. Per questo motivo il calore che essa riceve dal Sole non è uniformemente distribuito lungo la sua superficie: all’equatore ne riceve tanto, anche troppo, perché la radiazione solare gli arriva bella dritta, mentre ai poli ne riceve poco, troppo poco, perché la radiazione solare gli arriva di sbieco. Questo fa sì che all’equatore la colonna d’acqua si espanda mentre ai poli si comprima.

A questo punto entra in gioco la gravità, ossia quella forza di richiamo che ci fa tenere i piedi per terra e che non ci permette di galleggiare in aria. Questa forza non può ammettere che ci siano fluidi più leggeri sovrastati da quelli più pesanti. Per mettere le cose “a posto” spinge il fluido più caldo, agevolato anche dalla rotazione terrestre (la forza apparente di Coriolis), in direzione di quello più freddo, attivando così un potente meccanismo capace di mettere in moto enormi trasporti di calore e di massa tra l’equatore ed il polo.

Questo meccanismo è detto circolazione termoalina e coinvolge l’intera massa d’acqua oceanica.

Circolazione oceanica. In rosso la circolazione dell’acqua calda, in viola quella dell’acqua fredda. Grafica di M. Locritani

Per esempio, il Nord Atlantico riceve circa 1 Pwatt (1015 watt) di calore attraverso la Corrente del Golfo e la Corrente Nord Atlantica. Questa quantità di energia è circa 10.000 volte maggiore di quella necessaria a soddisfare le esigenze energetiche dell’intera umanità! Questo calore è successivamente scambiato con l’atmosfera rendendo per esempio il clima dell’Europa occidentale più mite.

Quello sopra descritto non è il solo meccanismo che smuove continuamente l’oceano dai suoi stati di equilibrio. Ne esiste un altro ugualmente importante, anche se influenza soprattutto la parte superficiale dell’oceano. E’ quello indotto dallo stress (attrito) del vento sulla superficie marina. La circolazione indotta dal vento ha un impatto enorme su tutte le attività umane, dalla pesca alla navigazione e alle attività antropiche costiere. Meno da un punto di vista climatico.

Spesso tutti i processi connessi con la circolazione oceanica, sia quella termoalina che quella indotta dal vento, vengono semplificati introducendo un “paradigma concettuale” abbastanza efficace nel sintetizzare le complesse interazioni complesse (caotiche e non-lineari) tra atmosfera e oceano, in cui il trasporto di calore, acqua dolce e traccianti (per esempio il sale) è rappresentato come un gigantesco moto circolare verticale, indicato appunto come “nastro trasportatore oceanico”.

Circolazione Oceanica e clima

Da un punto di vista climatico la circolazione oceanica riveste un’importanza fondamentale. Questa affermazione è la diretta conseguenza della intrinseca instabilità del sistema accoppiato oceano-atmosfera. Qui la stabilità e l’intensità della circolazione oceanica, e proporzionalmente anche la quantità di calore trasportato, dipendono da piccole differenze di densità, che dipendono a loro volta da un delicato equilibrio che ha luogo nel Nord Atlantico tra raffreddamento alle alte latitudini e apporto d’acqua dolce (meno densa) dovuta a pioggia, neve e fiumi.

Un eccesso di apporto d’acqua dolce (come quello che si sta verificando a causa della fusione dei ghiacci artici) riduce l’intensità della circolazione oceanica, ma non in modo lineare. All’inizio il meccanismo convettivo, un processo che mantiene vivo il nastro trasportatore di cui sopra, continua ad essere attivo e la circolazione oceanica superficiale continua a rimuovere l’acqua meno salata superficiale ed a sostituirla con quella più salata proveniente da sud. Tuttavia, questo meccanismo ha dei punti critici, sorpassati i quali la circolazione oceanica comincia ad oscillare tra diversi stati di equilibrio, tra cui è compreso anche quello compatibile con un eventuale suo blocco. Per questo il Nord Atlantico viene chiamato il “tallone d’Achille” del clima.

Se la circolazione oceanica, soprattutto quella meridionale (tra l’equatore ed i poli), si bloccasse completamente o rallentasse significativamente, lo scenario più probabile prevedrebbe picchi di anomalia negativa di temperatura nel Nord Europa di più di 10 gradi.

Lo studio di questi eventi, pur non dando nessuna indicazione certa sul clima futuro, è importante perché ci dà la consapevolezza che eventi catastrofici nella circolazione oceanica hanno fortissimi impatti sulla variabilità climatica globale e possono verificarsi a causa di fattori antropici in concorso con quelli che possono essere considerati instabilità insite al sistema oceano-atmosfera.

Il riscaldamento globale per esempio, dovuto ai gas–serra, può contribuire ad aumentare sia la temperatura superficiale dell’oceano che la piovosità alle alte latitudini. Entrambi questi fattori danno un contributo negativo alla densità superficiale riducendo così il motore della circolazione termoalina, come sembra stia succedendo dalle misure sperimentali analizzate recentemente.

A questo punto la domanda cruciale è:

quanto siamo vicini a questi punti critici?

In base a numerosi lavori scientifici, sintetizzati nell’ultimo report dell’IPCC, il punto di non ritorno sembra siano 2°C di aumento medio della temperatura globale della Terra e un valore pari a 500 ppmv di CO2 in atmosfera.

E purtroppo sembra che a questi valori critici di non ritorno, i tipping point, ci stiamo arrivando, anche piuttosto velocemente.

Il Mar Mediterraneo

Trattiamo qualcosa di molto concreto che ci riguarda in prima persona, ossia lo stato del nostro Mar Mediteranno. Recentemente, dalle analisi di lunghe serie temporali di temperatura, si può affermare con certezza che il Mediterraneo ha la febbre.

Per sostenere con elementi oggettivi questa affermazione vediamo alcuni elementi essenziali sul funzionamento del nostro bel bacino mediterraneo e le similarità che esso ha con l’oceano globale.

Il Mar Mediterraneo, nonostante abbia dimensioni trascurabili in confronto ai grandi oceani, è un bacino in cui avvengono, a scala più piccola, una varietà di processi ed interazioni atmosfera-oceano tipiche dei grandi oceani. Addirittura, gli oceanografi considerano il Mediterraneo un laboratorio per lo studio dei processi chiave che riguardano l’intera circolazione oceanica.

Uno dei dati importanti da tenere in considerazione riguarda il consumo dell’acqua per evaporazione che nel Mediterraneo risulta essere maggiore di quella ricevuta grazie alla pioggia e ai fiumi. In media il deficit è di circa 1 metro l’anno. Quindi il generoso Atlantico, tramite lo stretto di Gibilterra, fornisce ciò di cui il bacino ha bisogno.

Questo è l’elemento chiave per comprendere la circolazione del Mediterraneo e la formazione e trasformazione delle sue acque.

L’acqua atlantica (AW) che entra nel Mediterraneo forma uno strato d’acqua superficiale variabile sia nello spessore (100-200 metri) sia nei valori di temperatura e salinità, circa 36 grammi di sale su un litro d’acqua. Un valore apparentemente piccolo, ma il cui ruolo invece è cruciale nella circolazione oceanica. Questa acqua lungo il suo percorso evapora, ma il sale non lo fa! rimane nell’acqua dove assolve lo stesso ruolo dei pesi per i sommozzatori: più sale rimane in gioco in superficie, più a fondo va lo strato d’acqua.

Mappa della temperatura e della salinità delle acque del Mediterraneo (crediti Mediterranean Forecast System)

Il grosso di questa acqua continua così il suo percorso lasciandosi la costa africana sulla destra (a causa della forza di Coriolis). Nella parte orientale del bacino, vicino all’isola di Rodi, in virtù dei venti intensi Etesiani, si forma un’acqua intermedia, detta acqua levantina (LIW), con caratteristiche saline molto elevate (a questo punto l’acqua ha acquistato quasi tre grammi in più per chilo, quasi il massimo possibile nel Mediterraneo!) e con una temperatura relativamente elevata (circa 14.5 gradi centigradi).

Schema della circolazione nel Bacino Mediterraneo (Crediti M. Locritani)

La maggiore densità produce una corrente che attraversa tutto il bacino mediterraneo fino a tornare nell’Atlantico. Il funzionamento è simile a quello delle scale mobili: quando lo scalino ha finito di trasportarvi in cima, sparisce e ricompare all’inizio della scala, pronto a ripetere lo stesso lavoro. Allo stesso modo il flusso dell’acqua levantina, propagandosi principalmente in modo antiorario (ciclonico), ad una profondità tra i 200-800 metri, dopo intense variazioni di temperatura e salinità dovute al mescolamento con altre acque incontrate lungo il suo cammino, finalmente arriva nell’Oceano Atlantico, dopo circa 20 anni.

Ora manca ancora una informazione importante per completare la storia del Mediterraneo. Manca un fondamentale elemento caratteristico della conveyor belt mediterranea (la scala mobile oceanica!): la produzione d’acqua profonda (DW), che costituisce un importante indicatore climatico. Questo tipo d’acqua si forma principalmente nel Golfo del Leone, nel Nord e Sud Adriatico, nella regione Nord-Est del bacino Levantino e nel Mar Egeo. Qui formazioni d’acque dense avvengono durante intensi fenomeni evaporativi, in cui l’oceano cede all’atmosfera notevoli quantità di calore a causa dei venti freddi e secchi che perturbano la superficie marina (e.g. Maestrale, Etesiani e Bora), lasciando a disposizione tantissimo sale in poco tempo (3-4 giorni). Questo rende instabile l’acqua superficiale che si inabissa improvvisamente, ventilando l’intera colonna d’acqua e ossigenandola in modo da garantire così la sopravvivenza dell’intero sistema bio-geo-chimico marino.

Una caratteristica interessante di questi fenomeni consiste nella limitata dimensione spaziale e temporale in cui si verificano a fronte dell’enorme impatto sull’intera circolazione generale. Anche negli oceani le aree dove si verificano questi fenomeni sono molto limitate. Un esempio è il caso del Nord Atlantico dove un ruolo simile lo gioca la regione sub-polare del Labrador.

Questi processi sono vitali e quando si interrompono il mare muore per mancanza di ossigeno. E’ già accaduto decine di volte negli ultimi milioni di anni ma questo certo non ci può consolare, nè tantomeno deresponsabilizzare in base alla considerazione secondo cui l’uomo milioni di anni fa non esisteva….


 

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