La “Grande Aurora” del 4 febbraio 1872

Nella tarda serata del 4 febbraio 1872 un singolare bagliore illuminò i cieli di Roma. Si trattava nientemeno che di un’aurora boreale, estesa fino alle nostre latitudini. Un geniale gesuita, padre Angelo Secchi, direttore dell’Osservatorio del Collegio Romano, raccolse preziosi dati con tecniche e strumenti all’avanguardia per l’epoca, lasciandoci forse la prima osservazione scientifica sistematica di una tempesta geomagnetica

di Igino Coco, Francesco Berrilli* e Luca Giovannelli*

*Università degli Studi di Roma Tor Vergata

Immaginate di trovarvi nel complesso del Collegio Romano, l’Università dei Gesuiti fondata da Ignazio di Loyola, nel pieno centro di Roma, a due passi dall’odierna piazza Venezia, da Montecitorio e da fontana di Trevi. Siete su una torretta che domina i tetti del centro, in una fredda sera dell’inverno del 1872, la sera del 4 di febbraio, per essere precisi. Improvvisamente il vostro sguardo è attirato da qualcosa, uno strano bagliore variopinto, che appare in direzione Nord-Nord-Est, verso i monti Lucretili e la Sabina. Sono circa le 18:00, e il bagliore diventa un’esplosione di colori, dalle tonalità del rosso nella parte più alta, a sfumature di giallo e verde più in basso.

Cosa sta succedendo? Se voi foste un qualunque cittadino romano dell’epoca, a cosa pensereste? Probabilmente a qualche sorta di presagio divino. Ma voi non siete un cittadino romano qualsiasi. Siete padre Angelo Secchi, un prelato gesuita di raffinatissima cultura: matematico, astronomo, scienziato a tutto tondo. Egli ha capito perfettamente cosa sta succedendo e qui inizia una storia incredibile, per quanto poco nota e quasi dimenticata: la storia della prima osservazione scientifica sistematica e multidisciplinare di un’aurora boreale.

Figura 1: rappresentazione pittorica dell’interazione tra il vento solare e l’ambiente magnetico della Terra.

Aurore boreali e attività solare

Oggi sappiamo quasi tutto sulle aurore boreali, le loro cause, e i fenomeni ad esse collegati.

Il sole emette continuamente nello spazio radiazione e particelle, come naturale espansione della parte più esterna della sua atmosfera, la corona solare. Questo flusso di particelle, noto come vento solare, raggiunge anche la Terra, ma viene in gran parte fermato dalla presenza del campo magnetico terrestre, che agisce come uno scudo e respinge le particelle dotate di carica elettrica. L’interazione che si instaura è molto complessa, ma basti sapere che una parte delle particelle riesce a penetrare lo scudo del campo magnetico terrestre e precipita nello strato più alto dell’atmosfera, la ionosfera, colpendo le molecole dell’atmosfera stessa che, eccitandosi, rilasciano energia sotto forma di onde luminose, ed ecco che si spiegano le aurore polari. Esse si verificano normalmente alle latitudini molto alte a causa della geometria del campo magnetico terrestre, le cui linee di forza creano delle regioni a forma di imbuto che guidano le particelle del vento solare verso i poli. In casi eccezionali, la regione in cui le particelle precipitano si estende in direzione dell’equatore, tanto che, come abbiamo anticipato, le aurore si possono vedere anche alle nostre latitudini.

Le aurore, però, non sono che l’effetto più spettacolare e innocuo di questa catena di interazioni. L’aumento di densità nella ionosfera può provocare effetti collaterali molto più spiacevoli. Un esempio è l’assorbimento o disturbo delle trasmissioni radio in onde medie e lunghe, o la distorsione dei segnali provenienti dai satelliti GNSS e quindi errori o perdita dei segnali GPS. Un effetto è anche l’aumento dell’attrito sperimentato dai satelliti in orbita bassa e quindi la conseguente riduzione del loro tempo di vita. Inoltre, particelle energetiche provenienti dal Sole possono danneggiare la strumentazione a bordo dei satelliti. E, ancora, le correnti elettriche generate nella ionosfera si possono trasmettere fino al suolo, causando problemi di sovraccarico ai trasformatori delle cabine elettriche delle linee di alta tensione, fino al punto di metterli fuori uso e provocare estesi blackout.

A partire dalle prime osservazioni del sole ad opera di Galileo Galilei, sappiamo che l’attività solare attraversa dei cicli più o meno regolari, che durano circa 11 anni, alternando massimi e minimi. Intorno ai periodi di massima attività aumenta il numero delle “macchie solari”, regioni sulla superficie del sole che appaiono più scure, perché più fredde delle aree circostanti, e che sono legate alle complesse dinamiche del campo magnetico solare.

Oggi, benché vi siano ancora molti aspetti di dettaglio poco chiari, la catena di cause ed effetti è abbastanza assodata.

Se torniamo però indietro al 1872, le conoscenze di questi fenomeni erano proprio agli albori. Aveva suscitato un certo fermento un evento accaduto 13 anni prima, tra l’1 e il 2 settembre 1859, noto come “Evento di Carrington”, dal nome dell’astronomo inglese che lo aveva descritto in dettaglio. Richard Carrington, per primo, aveva ipotizzato una correlazione tra l’emersione di un gruppo particolarmente attivo di macchie solari e il verificarsi, circa un giorno dopo, di spettacolari aurore fino a basse latitudini, accompagnate da guasti e incendi improvvisi delle linee del telegrafo in tutto il mondo. Padre Angelo Secchi conosceva il lavoro di Carrington e quando si è trovato di fronte quell’inedito spettacolo, era preparato.

Angelo Secchi e l’Osservatorio del Collegio Romano  

Padre Angelo Secchi nasce a Reggio Emilia il 29 giugno 1818 e qui frequenta il collegio dei Gesuiti. A 15 anni si trasferisce a Roma e intraprende il suo noviziato, presso il Collegio Romano, distinguendosi subito come brillante studente, specialmente nelle materie scientifiche. Dopo aver trascorso circa due anni tra il 1848 e il 1849 tra l’Inghilterra e gli Stati Uniti, dove instaura importanti collaborazioni con scienziati anglosassoni e si appassiona alla geofisica, ritorna a Roma e dà nuovo impulso al piccolo osservatorio astronomico del Collegio Romano.

In Figura 2 si può vedere un’illustrazione contenuta nel trattato“L’Astronomia in Roma nel Pontificato di Pio IX”, pubblicato da padre Secchi nel 1877. Essa mostra gli edifici del complesso del Collegio Romano, visti dalla terrazza della torre Calandrelli, dove Secchi e i suoi collaboratori installarono e operarono una vasta gamma di strumenti per più di tre decenni. Questi i principali:

1) Un telescopio refrattivo di Merz, installato sulla cupola principale (“Cielo mobile maggiore”, indicata in figura col numero 3), su una piattaforma girevole per agevolare il puntamento;

2) Un telescopio di Cauchoix più piccolo,, utilizzato prevalentemente per osservazioni solari, dotato di un prisma che ne potesse proiettare l’immagine su un foglio di carta (installato nella cupoletta detta “Cielo mobile minore”, indicata in figura col numero 5);

3) Un osservatorio magnetico posto sopra la navata ovest della chiesa di Sant’Ignazio in Campo Marzio (punto indicato col numero 6 in figura). Esso comprendeva tre differenti strumenti per misurare la declinazione magnetica (angolo formato dalla direzione dell’ago di una bussola, quindi la direzione Nord-Sud magnetica, rispetto alla direzione del meridiano locale), la variazione del campo magnetico terrestre in direzione Est-Ovest, e la variazione verticale. Inoltre vi erano altri tre magnetometri che determinavano le intensità assolute del campo col metodo di Gauss.

4) Un elettrometro di Palmieri per misurare l’elettricità dell’atmosfera.

5) Una serie di strumentazioni per osservazioni meteorologiche. La stazione meteorologica di Secchi era notevole perché era dotata di un meteorografo, un apparato progettato dallo stesso Secchi che registrava automaticamente su rulli di carta le misure di tutti gli strumenti meteorologici.

Sia le misure magnetiche sia quelle meteorologiche venivano effettuate 8 volte al giorno, dalle 7 di mattina alle 9 di sera.

Come si può capire, l’osservatorio di Secchi è probabilmente uno dei primi al mondo improntati su un approccio multidisciplinare, con osservazioni che partivano dal Sole e venivano messe in relazione con le variazioni dell’ambiente magnetico della Terra e addirittura del tempo atmosferico. All’epoca si pensava infatti che potesse esserci una relazione diretta tra l’attività solare e le variazioni del tempo meteorologico.

 L’aurora del 4 febbraio 1872 nei dati e osservazioni del Collegio Romano

Il trattato di padre Secchi “Sull’aurora elettrica del 4 febbraio 1872” si apre con le seguenti parole: “La superba aurora elettrica di cui siamo stati testimoni al 4 del presente mese, è così straordinaria, per i nostri climi, che merita di esser tramandata ai posteri colle particolarità tutte che vennero possibilmente segnalate durante la sua apparizione; e ciò è tanto più necessario in quanto che si sono manifestati varii fatti importanti per la teoria del fenomeno”.

Alle 17:45 del 4 febbraio, un assistente di padre Secchi, mentre esegue le misure magnetiche di routine, nota che i magnetometri sono disturbati in modo inusuale. Solo il declinometro continua a misurare, pur tra ampie oscillazioni, mentre i magnetometri est-ovest e verticale vanno fuori scala. Osservando il cielo della torretta dell’osservatorio magnetico, subito vede l’aurora in direzione Nord e Nord-Est e corre a informare il direttore.

La descrizione dell’aurora che fa padre Secchi nel suo trattato sopra citato è estremamente accurata: la sua forma, la variazione della sua colorazione nello spazio e nel tempo, e persino la sua posizione rispetto alle stelle più luminose e alle costellazioni più note. Egli riporta sfumature di verde-giallo nella parte più bassa, ma riferisce che le tonalità del rosso dominano alle quote più alte. E’ stato anche in grado di eseguire delle osservazioni spettrali, per quanto soggette ad ampi errori, a causa della bassa luminosità dell’aurora: gli sembrò a tratti di distinguere le linee spettrali dell’azoto, cosa sicuramente possibile, se le particelle che precipitavano hanno raggiunto quote intorno ai 120 km, dove possono interagire con l’azoto atmosferico e causare l’emissione di luce rosso-bluastra.

Le sue osservazioni sono pienamente in linea con quelle riportate all’epoca in varie altre parti del mondo. Addirittura, confrontando le sue osservazioni con un suo corrispondente a Sondrio, il prof. Lovisato, che parimenti vede le stesse strutture ad arco, stima la quota media dell’aurora a circa 246 km. Queste le sue parole, che evidenziano un acume e una comprensione del fenomeno impressionanti per quei tempi: “Stante questa contemporaneità di apparizione in siti così lontani, noi non possiamo formarci altra idea di questo fenomeno fuorché immaginando che la scarica elettrica la quale dall’atmosfera si diffondeva nel suolo investisse ogni osservatore, e che que’ raggi che parevano a noi convergenti fossero solamente paralleli tra loro e alla risultante delle forze magnetiche terrestri. Idea non nuova certamente ma che ora sembra non potersi più mettere in dubbio da alcuno.”

Come abbiamo detto, gran parte delle misure dei magnetometri erano fuori scala, ma si può ricostruire il tracciato delle misure del declinometro che, ricordiamo, rappresenta la variazione dell’angolo tra il Nord magnetico e il meridiano geografico (figura 3). La massima variazione rispetto al livello quieto, con un picco positivo seguito da una deflessione negativa meno intensa, si verifica tre le 18 e le 21. Secchi, insieme ai suoi collaboratori, riesce comunque a effettuare delle misure della componente orizzontale del campo magnetico terrestre durante il picco dell’evento e registra una massima deflessione di circa 600 nanoTesla, più o meno in linea con altre rilevazioni che si possono trovare in letteratura per questo evento (ad esempio, a Bombay registrarono una deflessione di 830 nanoTesla). Ciò corrisponde a un’intensità circa cinque volte minore rispetto a quanto fu misurato per l’evento di Carrington, a cui abbiamo accennato più sopra.

Anche le osservazioni solari in corrispondenza dell’aurora sono state attente e meticolose, svolte in contemporanea da Secchi e da un suo ex studente a Moncalieri. Vengono fatti i conteggi del numero di macchie solari e una valutazione della loro superficie, ma anche i conteggi delle regioni più luminose (faculae) nonché delle protuberanze sulla corona e della loro estensione. Rispetto a un livello quieto del 31 gennaio (n. di macchie = 87), l’attività solare è cresciuta con un massimo intorno al 2 febbraio (n. di macchie = 116), per poi tornare a un livello più quieto il 5 febbraio (n. di macchie = 98).

Nel suo trattato “Sull’aurora elettrica del 4 febbraio 1872”, Secchi fa quindi delle importanti considerazioni sulla relazione tra attività solare e aurore, anche queste di una modernità eccezionale. In breve, queste sono le sue intuizioni:

  • Un conto è parlare di correlazione generale, in senso statistico, tra alta attività solare e risposta geomagnetica, altro conto è parlare di una relazione uno a uno tra singole eruzioni o “prominenze” solari e aurore. Se la prima ipotesi può dirsi verificata, la seconda presuppone una trasmissione diretta di materia dal Sole alla Terra che inneschi sempre una qualche forma di interazione elettrica nell’atmosfera e, nemmeno all’epoca, si avevano evidenze dirette di questo.
  • Le prominenze osservate da noi sono solo quelle al bordo del disco solare e non possono essere “geoeffettive”, come di dice oggi, perché la materia da esse emessa viene sparata in direzioni lontane da noi. Le eruzioni “frontali” non possono essere osservate direttamente ma possiamo indirettamente correlarle alla presenza di un maggior numero di macchie solari.

Oggi sappiamo che il quadro che padre Secchi delineava, in base alle misure da lui prese, era essenzialmente corretto.

Gli effetti dell’aurora del 1872 nelle cronache dell’epoca

L’aurora del 4 febbraio 1872 è stato uno di quegli eventi notevoli di “meteorologia spaziale” oggetto di numerosi studi a posteriori, data la sua intensità e il clamore che suscitò.

L’effetto più drammatico di questo evento fu la cosiddetta “tempesta magnetica” che scatenò, ovvero la forte perturbazione al campo magnetico terrestre che indusse correnti elettriche fino all’interno della crosta terrestre. Ciò produsse addirittura l’interruzione del servizio telegrafico tra Europa e Stati Uniti, che avveniva tramite un cavo transoceanico che venne posato nel 1866.

Altre simili interruzioni nelle trasmissioni telegrafiche vennero segnalate in varie parti del mondo, per esempio in Inghilterra, ma anche in Italia. Sempre al Collegio Romano, padre Secchi aveva fatto approntare una stazione telegrafica, sia per comunicare con altri osservatori in Europa, sia per scopi di ricerca, ovvero proprio per verificare gli effetti di perturbazioni, soprattutto atmosferiche, sulle linee elettriche del telegrafo. Egli venne informato del fatto che le trasmissioni furono fortemente disturbate proprio a partire dalle 17:45 di quel 4 febbraio.

Dalle misure che sono state raccolte ed analizzate nella letteratura scientifica, sembra che la tempesta geomagnetica del 4 febbraio 1872 sia stata probabilmente la seconda più intensa mai registrata strumentalmente dall’uomo. Solo l’evento di Carrington del 1859 è stato più intenso e devastante.

Se un tale evento dovesse verificarsi oggi, dato l’enorme progresso tecnologico occorso nel frattempo e la mole di infrastrutture potenzialmente soggette a danni e disturbi da tempeste magnetiche e ionosferiche, le conseguenze potrebbero essere molto più drammatiche. E’ per questo che molti governi e istituzioni transnazionali si stanno attivando da anni per studiare e mettere in opera strategie di mitigazione e protezione.


Referenze e approfondimenti


 

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