L’Oceano, la plastica e … il calamaro gigante

L’Oceano è alla base della vita sulla Terra, sia perché è il luogo in cui la vita è nata, sia perché regola la temperatura e la chimica che sta alla base della vita stessa. È l’habitat più vasto della Terra, ospita l’80% delle specie viventi, ma per gran parte è ancora inesplorato: attualmente conosciamo solo il 5% della morfologia dei fondali marini. Questo mondo meraviglioso, per lo più sconosciuto, è anche una delle primarie fonti di reddito, cibo ed energia.

Il progressivo depauperamento dell’Oceano sta però mettendo a rischio sia gli equilibri fisiologici della Terra che l’economia globale: il riscaldamento globale, l’inquinamento e l’acidificazione degli oceani, la fusione dei ghiacciai con il relativo innalzamento del livello marino comportano la perdita di biodiversità e il degrado degli habitat marini e costieri.

Di queste problematiche ne abbiamo parlato in molti post su questo blog, curati dai nostri esperti. Con il post di oggi vogliamo affrontare le stesse problematiche ma da un punto di vista diverso: quello della letteratura, ospitando lo scrittore Fabio Genovesi. Il brano che vi proponiamo è tratto dal libro “Il calamaro gigante”, edito da Feltrinelli.

Buona lettura!

 

Tutto intorno danza

di F. Genovesi

Il calamaro gigante, di Fabio genovesi edito da Feltrinelli

Nell’Oceano Pacifico esiste un’altra isola tanto più grande, come tre France, come cinque Germanie o sei Italie, e avremmo tutto il diritto di piantarci la bandiera perché l’abbiamo creata noi, eppure quell’isola non la vuole nessuno.

E’ là, sembra impossibile ma esiste davvero… un’isola enorme tra il Giappone e le Hawaii, fatta tutta di plastica.

Ma c’è una cosa ancora più assurda di lei … e cioè il modo in cui questo nuovo continente di spazzatura è nato.

Perché tutto parte da un fatto che per noi è ovvio, banale e quotidiano, e cioè che gli esseri umani, per fabbricare oggetti usa e getta, da prendere e buttare via, impiegano un materiale che è praticamente eterno.

Da qui, da questa normalissima, banalissima follia, tutto è iniziato, e tutto finisce. Perché la plastica che accumuliamo nel pianeta è come certi ospiti molesti che si presentano a casa nostra per una bella visita improvvisata: una volta arrivata, non se ne va mai più.

La natura infatti è una cosa unica, fatta di pezzetti che si smontano e si rimontano in varie forme e sostanze. Il legno, la carta, le pietre le piante i torsoli di mela, le briciole di pane gli sputi per terra e noi, tutto si mescola e si consuma fino a sparire, e diventa parte di qualcos’altro. La plastica invece no, lei resta. Ecco perché dovremmo usarla solo per cose che ci dureranno una vita, che rimarranno con noi mentre cresciamo e invecchiamo, e a quel punto potranno passare in eredità ai nostri figli prediletti, perché noi siamo finiti ma lei è ancora lì, perfetta e pronta per un altro giro.

… la plastica si butta, la plastica resta.

Anzi, non è vero che resta: la plastica viaggia.

A volte è un viaggio corto e dritto, perché dopo una giornata in spiaggia sei in pace e leggero, e non vuoi sciupare questo benessere mettendoti a cercare un cestino, è più facile e rilassante lasciare i rifiuti lì e via, sorridendo verso casa. E’ più comodo pure per le grandi navi mercantili, per gli yacht che costano milioni di euro come per i pedalò noleggiati sulla spiaggia: è molto democratica e accumuna ogni classe sociale, la tendenza a lasciare la nostra firma con una lunga scia di sporcizia.

Ecco, queste sono le vie più corte e dirette, eppure sono le meno battute. L’ottanta per cento della plastica che arriva negli oceani lo fa con percorsi più lunghi e tortuosi. Parte dalla profonda terraferma, e segue soprattutto il corso dei fiumi, che attraversano i nostri paesi e raccolgono i nostri scarti. I fiumi sono le vene della terra, e se la terra è zozza lo sono pure loro, che scorrono fino a scaricarsi in mare.

Una parte di questi rifiuti si fa un giretto tra le correnti, poi le onde ce la riportano a riva.

…da piccolo quando di notte sentivo il mare che si arrabbiava e saliva a prendersi la terra, io non dormivo e mi frizzavano le gambe dalla voglia di correre là al mattino, e trovare i tesori che aveva lasciato per me sulla riva…..

Adesso invece le mareggiate scaricano così tanta plastica che non c’è più niente di astratto, sono ormai opere di denuncia, e il loro messaggio è uno solo, chiaro e amarissimo. Però non lo ascoltiamo, la plastica in mare è sempre di più e quella che le onde riescono a schiaffare di nuovo sulla terra-ferma è una parte insignificante.

Quasi tutta infatti non torna a riva, ma comincia un viaggio avventuroso verso il largo, presa da correnti più forti fino a entrare nella danza dei vortici che governano gli oceani, cinque grandi movimenti circolari creati dalla rotazione terrestre e dall’azione dei venti.

La plastica viene presa così in un’enorme spirale, gira e gira verso il centro e qui si incontra , si addensa, tanto da diventare la nostra famosa isola di rifiuti. Fatta di pezzettini e pezzettoni ammassati, che dopo molto tempo lì in mezzo si disintegrano in frammenti più piccoli , fino a sparire.

E a questo punto uno finalmente sospira, e più leggero dice “ma allora che problema c’è? Tanto casino , tanto allarme, invece ecco che sparisce da sé”

Ma il problema è proprio questo, che la plastica sparisce ai  nostri occhi, però è sempre un veleno, e più piccola si fa, più i suoi frammenti si infilano dappertutto.

Li chiamiamo microplastica, e le creature minuscole del mare li scambiano per cibo e li mangiano. Così le sostanze tossiche si insinuano nella grande catena alimentare, e cominciano a salire: le piccole creature vengono mangiate da altre più grandi, che a loro volta finiscono nella pancia di altre più grandi ancora, come in una matrioska sempre più piena di plastica, fino ai grandi predatori tipo il tonno, la ricciola, il salmone e altri che tanto ci piacciono. E così, a forza di girare e girare per il mondo, la plastica ci torna dritta in bocca.

L’isola di plastica nel Pacifico è la più grande e famosa, ma ce ne sono altre quattro in giro per gli oceani, una pure nel Mediterraneo tra l’isola d’Elba e la Corsica. A formarle sono più di cinque trilioni di pezzi di plastica che galleggiano in superficie, ma si stima che sui fondali ce ne sia più del doppio. Pure là nelle tenebre dove nuota il calamaro gigante, e ancor più giù: il punto più profondo dell’oceano è la Fossa delle Marianne, e il punto più profondo del punto più profondo si chiama Abisso Challenger, sta a quasi undicimila metri e praticamente è un altro pianeta. Infatti ci è arrivato di recente un sommergibile in lega di titanio che sembra un’astronave, e non poteva restarci a lungo ma ha fatto in tempo a trovarci nuovi molluschi misteriosi e altre forme di vita sconosciute. Insieme a un sacchetto di plastica e alle confezioni di qualche merendina.

Merendine, a undicimila metri.

Allora, quando proviamo a sfuggire allo stress quotidiano volando con l’immaginazione verso gli atolli sperduti e le isolette vergini in mezzo al cuore intatto degli oceani, si tratta appunto di posti che esistono solo lì, nell’immaginazione, perché i famosi “paradisi incontaminati” sono ormai un modo di dire. L’unico paradiso rimasto ancora incontaminato, forse, è proprio il paradiso lassù nei cieli, e solo perché a forza di comportarci come ci comportiamo è un posto dove gli umani arrivano di rado.

Disegno di Allegra M., anni 8, ispirato dalla lettura de “il calamaro gigante”

 


La nota scientifica:

 

Concentrazioni di rifiuti plastici nelle acque superficiali dell’oceano e del Mar Mediterraneo. Nella mappa globale, le aree oceaniche in grigio rappresentano le zone di accumulo modellate per i cinque vortici subtropicali. Le aree oceaniche bianche rappresentano zone di non accumulo. La mappa del bacino Mediterraneo mostra le concentrazioni di plastica superficiale previste dalla modellazione numerica. Le aree più scure corrispondono a concentrazioni più elevate. I cerchi colorati indicano le concentrazioni medie derivate dal campionamento in situ (da Cozar et al., 2015 “Plastic Accumulation in the Mediterranean Sea”).

Per approfondire:


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