Strabone, Plinio e il mistero delle isole scomparse

Quando Strabone visitò la nostra penisola, negli ultimi anni dell’era a.C., descrisse due isole che oggi non conosciamo. Quanto è affidabile il suo racconto? In effetti, sia dal punto di vista storico che scientifico, sembra davvero possibile che possa aver visto delle isole oggi scomparse

di Michele Caputo e Adriano Nardi

Un geografo di 2000 anni fa

Strabone era un erudito greco vissuto in età augustea, a cavallo dell’anno 0. Fu un grande studioso di storia, filosofia e geografia e la sua opera più nota oggi, anche perché è l’unica che ci è pervenuta quasi interamente, è intitolata proprio Geografia. Questo trattato di 17 libri in lingua greca è considerato oggi una risorsa fondamentale per lo studio della storiografia greca e romana, grazie ai suoi numerosissimi riferimenti storici e alla precisione dei riferimenti toponomastici (riguardanti cioè l’esatta denominazione dei luoghi geografici). Malgrado il suo zelo, quando Strabone descrive la penisola italiana (libri V e VI) troviamo una testimonianza sconcertante: delle isole che noi oggi non conosciamo.

Due isole di fronte a Capo Palinuro

Nel libro VI della Geografia (1-3: La Lucania) Strabone ci descrive la costa campana procedendo verso sud. Citiamo testualmente:

«Dopo Elea c’è il promontorio di Palinuro. Di fronte al territorio di Elea ci sono le due isole Enotridi, che hanno ciascuna un ormeggio».

Palinuro è un promontorio noto ancora oggi con questo nome. Sappiamo che la città di Elea esistette davvero. Fu una famosa polis della Magna Grecia che venne chiamata Velia in epoca romana, poco lontano dall’attuale Ascea, in provincia di Salerno. Di quelle isole però non c’è traccia ai nostri giorni.

In epoca poco successiva a quella di Strabone (comunque dopo Cristo), di queste isole parla anche Plinio il Vecchio nella sua Storia Naturale. Il libro III (Geografia del Mediterraneo occidentale, 85) le colloca proprio «contra Veliam», in latino, ovvero di fronte alla città di Velia (la Elea di Strabone). Ci fornisce anche i rispettivi nomi di Isacia e Pontia.

Ma allora, perché oggi queste isole non ci sono?

Tre ipotesi per un mistero

Quello costiero è un ambiente estremamente mutevole. Molti commentatori moderni di questi testi storici ipotizzano che la scomparsa delle isole sia stata causata da un avanzamento della costa prodotto dal materiale sedimentato dai fiumi Alento, Palistro e Fiumarella. Sono certamente già accaduti fenomeni geologici simili in importanti siti archeologici. Basti pensare al porto di Ostia Antica, che oggi è nell’entroterra laziale a causa dell’avanzamento della foce del Tevere.

Anche se la linea di costa è probabilmente avanzata per diverse centinaia di metri, osservando la morfologia dell’area costiera antistante la zona archeologica di Velia non troviamo oggi rilievi che potessero un tempo affiorare come isole rispetto all’attuale livello del mare. L’unico è quello dell’acropoli stessa di Velia, che un tempo era appunto un promontorio sul mare. Inoltre, sia a nord che a sud di Velia, ci sono coste alte che non sono compatibili con questa spiegazione. Si potrebbe allora ipotizzare un fenomeno di regressione marina indipendentemente dalla sedimentazione fluviale, dovuta cioè a cause tettoniche. Tuttavia questi altri fenomeni geologici avvengono in archi di tempo molto lunghi che li rendono difficilmente osservabili in tempi storici.

Non possiamo però non accorgerci di una coincidenza straordinaria. Palinuro non è soltanto lo storico nome del promontorio lucano ma oggi è anche il nome di uno dei tre grandi vulcani attivi sottomarini del mar Tirreno, quello recentemente oggetto di una ricerca internazionale di cui è partecipe anche l’INGV. Gli altri vulcani già noti erano il Marsili e il Vavilov.

Il Palinuro è un complesso vulcanico composto da otto edifici distribuiti in direzione est-ovest proprio di fronte a Capo Palinuro e all’antica città di Velia (figura 1).

Ubicazione della catena vulcanica del Palinuro. Le frecce indicano in rosso le cime maggiori del vulcano Palinuro, in blu Capo Palinuro e in verde la posizione dell’antica città di Velia (Elea, per i greci).
Figura 1 – Ubicazione della catena vulcanica del Palinuro. Le frecce indicano in rosso le cime maggiori del vulcano Palinuro, in blu Capo Palinuro e in verde la posizione dell’antica città di Velia (Elea, per i greci).

Le cime principali del Palinuro sono proprio due e raggiungono oggi i 70 m sotto il livello del mare (vedi filmato). Potrebbero quasi essere avvistate da un sub. È possibile che in tempi storici le due cime fossero state emerse? Questo non possiamo provarlo, ma possiamo almeno sostenere che ciò non sia impossibile. La nostra penisola è talmente attiva dal punto di vista vulcanico che la storia d’Italia riporta già due casi documentati attinenti alla nostra ipotesi: l’Isola Ferdinandea e il Monte Nuovo (anche se quest’ultimo non è un’isola).

Ricostruzione 3D della catena vulcanica di Palinuro. I due edifici più alti (quelli con la cima rossa) potevano essere stati le isole di Strabone? Nel comunicato “Una famiglia di vulcani nel Mar Tirreno“,  gli autori  stessi affermano: Questi vulcani sono stati attivi sicuramente tra 300.000 e 800.000 anni fa, ma non è da escludere che siano stati attivi in tempi più recenti».

Quando la realtà supera la leggenda

Nel 1538, a Pozzuoli, il suolo si sollevò repentinamente di molti metri e il mare si ritirò creando nuove terre. Il sollevamento del suolo, accompagnato da intensa sismicità, precedeva l’inizio di una nuova eruzione che formò, nell’arco di una sola settimana, un monte alto 133 m s.l.m. Non per niente prese il nome di Monte Nuovo. Fu in realtà l’ultima eruzione avvenuta all’interno della caldera Flegrea. L’unica in epoca storica.

L’isola Ferdinandea invece venne alla luce nel Canale di Sicilia come uno scoglio fumante. Era in realtà un vulcano sottomarino che nell’arco di 6 settimane divenne un’isola con un perimetro di quasi 1 km e un’altezza di 65 m s.l.m. Era il 1831 e l’evento fece quasi scoppiare una guerra tra l’Inghilterra, la Francia e il Regno delle due Sicilie, che subito si contesero la sovranità su questa nuova terra. Il problema politico si risolse da sé, perché così come era apparsa, tra botti e scintille, l’isola scomparve di nuovo nell’arco di altri 4 mesi. Oggi ne resta una secca a 7 m di profondità che sulle carte nautiche è riportata col nome di “Banco di Graham”. Si tratta del più alto dei 9 edifici del complesso sottomarino noto come vulcano Empedocle, che ha avuto diversi episodi di emersione a partire almeno dal 10 a.C. Il dislivello massimo, dall’ultima emersione ad oggi, è stato di oltre 70 m.  Infine, si potrebbe citare il caso della recentissima attività del vulcano sottomarino giapponese Fukutoku-Okanoba che presso Iwo Jima ha fatto nascere una nuova isola portando alla luce i relitti di 24 navi nipponiche affondate durante la Seconda Guerra Mondiale, nel corso della famosa omonima battaglia (figura 2).

Figura 2 – Le navi giapponesi emerse sulla spiaggia di una nuova isola vulcanica presso Iwo Jima. Da: [The U.S. Sun ]
In prima analisi dunque non è impossibile che le isole scomparse di Plinio e Strabone potessero essere due cime temporaneamente emerse di un vulcano sottomarino, vista la provvidenziale scoperta del Palinuro. Tuttavia, questa è al momento soltanto una suggestiva ipotesi che va verificata.

Della città di Velia oggi resta un’area archeologica situata nel comune di Ascea, in provincia di Salerno, nel Parco Nazionale del Cilento. In attesa di scoprire di più su questo mistero, sarà comunque bello, andando in visita al parco e al promontorio di Palinuro, guardare il mare immaginando quelle due isole che un erudito greco descrisse per noi più di 2000 anni fa. Non sarebbe nemmeno una cattiva idea per il turismo italiano, che è solidamente fondato su storia e paesaggi, il consiglio di portare sempre in tasca una copia della Geografia di Strabone, per poterci confrontare, strada facendo, con lo scenario del mondo come era stato intorno all’anno 0.

 

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