Astronomia e atmosfera terrestre: come il rumore diventa informazione

In che modo le osservazioni astronomiche possono aiutare lo studio e il monitoraggio dell’alta atmosfera terrestre? E come gli scienziati che si occupano di studiare l’alta atmosfera possono contribuire a migliorare le nostre capacità di osservare l’Universo?

di Claudio Cesaroni

Negli ultimi giorni abbiamo avuto la fortuna di poter vedere le meravigliose immagini acquisite dal James Webb Space Telescope (JWST). Questo telescopio in orbita solare, “guarda” l’universo in uno spettro di frequenze non visibile all’occhio umano restituendo immagini, con una risoluzione mai ottenuta in passato, delle emissioni elettromagnetiche degli oggetti osservati nell’infrarosso. Queste osservazioni, di fondamentale importanza per il progredire della nostra conoscenza sull’origine dell’universo, segnano l’alba di una nuova era per le osservazioni dello spazio profondo.

La regione NGC 3324 nella nebulosa Carina “fotografata” da James Webb Telescope. Crediti immagine: NASA, ESA, CSA, and STScI

Da terra o dallo spazio?

L’uomo ha sempre sentito l’esigenza di guardare il cielo prima ad occhio nudo e poi, con la nascita della Scienza moderna, con strumenti via via sempre più sofisticati. Dagli inizi del 1600, da quando cioè Galileo Galilei cominciò ad osservare il cielo in maniera sistematica con il suo famoso cannocchiale, gli sviluppi tecnologici hanno portato alla costruzione di strumenti sempre più potenti e risoluti e, soprattutto, capaci di osservare il cielo non solo nello spettro del visibile ma anche utilizzando radiazione elettromagnetica a lunghezze d’onda differenti e non percepite dall’occhio umano. Fu solo alla fine degli anni 60 del secolo scorso, però, che si riuscì a compiere un balzo in avanti nella capacità di osservazione dell’universo soprattutto nell’ultravioletto e nell’infrarosso quando fu messo in orbita il primo telescopio spaziale.  Il più famoso tra i telescopi spaziali è sicuramente Hubble telescope che fu messo in orbita nel 1990 e tuttora è in grado di misurare la radiazione elettromagnetica nell’infrarosso, nel visibile e nell’ultravioletto proveniente dallo spazio profondo.

L’effetto dell’atmosfera sulle osservazioni astronomiche

Ma qual è il vantaggio di osservare l’universo dallo spazio piuttosto che dalla superficie terrestre?

Il principale è la possibilità di evitare il disturbo che la nostra atmosfera introduce nelle misure elettromagnetiche proprio nella regione dell’ultravioletto e dell’infrarosso, quella acquisita da JWST. In particolare, il vapore d’acqua e altri gas presenti nell’atmosfera assorbono la debolissima radiazione elettromagnetica proveniente dagli oggetti lontani rendendo difficili, se non impossibili, le osservazioni da Terra.  La figura 2 mostra la definizione delle diverse regioni dello spettro elettromagnetico e l’opacità dell’atmosfera alle diverse frequenze. Da questa si può capire come l’atmosfera sia trasparente nello spettro visibile (ed è per questo che i nostri occhi sono sensibili proprio a quelle particolari frequenze) mentre offre una notevole opacità nella regione dell’infrarosso.

Descrizione dello spettro elettromagnetico e dell’opacità atmosferica a diverse lunghezze d’onda. Crediti immagine: NASA

L’infrarosso non è l’unica regione dello spettro elettromagnetico “invisibile” all’occhio umano utilizzata per osservare l’universo. Gli astronomi utilizzano, infatti, anche le onde radio (del tutto simili a quelle che si utilizzano per le comunicazioni radio a lunga distanza) per investigare le meraviglie degli oggetti lontani, e ancora in parte non compresi, presenti nell’universo.

Attraverso questi sofisticati strumenti è possibile studiare una quantità enorme di fenomeni che avvengono sia nello spazio profondo (come le emissioni radio delle PULSAR) che più vicino a noi (come, ad esempio, le tempeste solari) osservabili solo utilizzando  frequenze diverse da quelle utilizzate dai telescopi tradizionali.

Bolla di gas espulsa da un buco nero super massivo come osservato nello spettro ottico (destra) e nel radio da LOFAR (sinistra). Crediti immagine: ASTRON

Uno dei radiotelescopi (così si chiamano gli strumenti che misurano onde radio) più potenti mai costruiti, è il LOw Frequency Array (LOFAR). E’ costituito da una serie di antenne installate in diversi paesi europei che formano, virtualmente, una immensa unica antenna adatta ad osservare il cielo a frequenze che vanno da circa 10 MHz a circa 200 MHz. Ognuna di queste antenne è costituita da centinaia di elementi e può occupare una superficie equivalente ad un campo di calcio. L’ultima, ancora in via di realizzazione, sarà installata presso l’osservatorio radioastronomico di Medicina (BO) gestito dall’Istituto Nazionale di AstroFisica (INAF) e resa operativa a partire dal 2024.

Appare quindi chiaro che questi strumenti non possono essere posti in orbita ma devono necessariamente operare a terra.

Vista dall’alto delle antenne “core” LOFAR installate in Olanda. Crediti immagine: ASTRON
Distribuzione delle antenne LOFAR. Crediti immagine ASTRON
Disturbi preziosi

Se guardiamo con attenzione la figura 2 ci accorgiamo che nella la regione delle frequenze radio l’atmosfera sembra essere trasparente. Possiamo, quindi, pensare che l’atmosfera non sia di alcun intralcio per questo tipo di osservazioni. In realtà non è proprio così!

La propagazione delle onde radio è fortemente influenzata dalla presenza di ioni ed elettroni liberi che, nella parte più alta dell’atmosfera, formano la ionosfera. Questo plasma (così viene detto un gas ionizzato) pur permettendo alle onde radio di attraversarlo, ne modifica in modo significativo la velocità e la direzione di propagazione per effetto di un fenomeno fisico detto rifrazione. Questo fenomeno ha un impatto sui sistemi tecnologici che noi tutti utilizziamo per le comunicazioni radio a lunga distanza e per il posizionamento satellitare (attraverso i sistemi GNSS quali GPS, Galileo etc.) In aggiunta, la ionosfera, essendo immersa nel campo magnetico terrestre, è capace di indurre una rotazione nella polarizzazione di un’onda elettromagnetica cioè di modificare la direzione di oscillazione del campo elettrico associato all’onda stessa.

Schema rappresentativo della rotazione di Faraday indotta da un plasma immerso in un campo magnetico

Questi “disturbi ionosferici”, indotti sulle onde radio che attraversano l’atmosfera nel loro viaggio dagli oggetti celesti fino al radiotelescopio a terra, generano un “errore” che deve necessariamente essere corretto per non “inquinare” i risultati delle osservazioni astronomiche.  La possibilità di correggere tali errori dipende fortemente dalla capacità di conoscere nel dettaglio la distribuzione degli elettroni in ionosfera e l’intensità del campo magnetico terrestre nelle regioni attraversate dall’onda radio. Per questo la collaborazione tra i radioastronomi e gli scienziati che si occupano di osservare e modellare l’alta atmosfera e il campo geomagnetico, è di fondamentale importanza per il continuo progresso nella conoscenza delle meraviglie del nostro universo.

Se guardiamo il problema da un altro punto di vista, però, possiamo facilmente intuire che il “disturbo” indotto dalla ionosfera può essere sfruttato per ricavare informazioni preziose sul mezzo che ha generato il disturbo stesso: la ionosfera. Tali disturbi, infatti, sono proporzionali alla quantità di elettroni liberi che il segnale incontra durante il suo viaggio fino a terra e all’intensità della componente del campo magnetico lungo la direzione di propagazione del segnale stesso. Conoscere il disturbo (per esempio l’angolo tra la direzione di polarizzazione dell’onda emessa dall’oggetto celeste e di quella del segnale ricevuto a Terra “modificato” dalla rotazione di Faraday), la direzione di propagazione del segnale e l’intensità e la direzione del campo magnetico magnetico terrestre nel punto di osservazione, ci permette di poter ricavare preziose informazioni sulla distribuzione degli elettroni liberi in ionosfera.

In questo quadro il gruppo di Fisica dell’alta atmosfera e radiopropagazione dell’INGV collabora con l’istituto olandese di radioastronomia ASTRON al fine di fornire informazioni sulla morfologia ionosferica utili alla correzione delle misure radioastronomiche e, d’altro canto, sfruttare le stesse osservazioni per ricavare dati utili al monitoraggio delle condizioni ionosferiche sull’Europa.


 

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