Taro e Jiro: una storia antartica

Nel 1957 il Giappone organizzò la prima spedizione in Antartide per la costruzione della base Syowa. A questa prima spedizione è legata la storia commovente dei cani Taro e Jiro che sopravvissero a quella che fu definita una vera e propria catastrofe.

di Laura Alfonsi

Nel 1957 il Giappone promosse la prima spedizione antartica con finalità scientifiche. Il 29 gennaio dello stesso anno iniziarono i primi lavori per la costruzione della base giapponese, la stazione di ricerca Syowa, posta lungo la costa orientale dell’isola di Ongul.

Come era d’abitudine a quei tempi, la spedizione prevedeva la presenza di 15 cani da slitta di razza Sakhalin Husky (Karafuto-Ken in giapponese) per i necessari spostamenti in base. I cani non erano cani comuni, ma appositamente addestrati a lavorare su neve e ghiaccio. Rapidamente riuscirono ad adattarsi alle condizioni di clima e di ambiente: saranno il motore delle slitte per tutte le attività da svolgere all’esterno della base.

shakalin

La prima campagna antartica durò un intero anno, prima di vedere il primo cambio di personale. Alla fine della stagione la nave Soya avrebbe portato in base, oltre a tecnici e ricercatori, nuovi viveri, carburante e tutti quei materiali necessari alla sussistenza del personale della base per l’intero anno a venire.

L’organizzazione non aveva previsto invece alcun avvicendamento, in questa fase, per i cani delle slitte. Dovevano rimanere in base con il nuovo personale per assisterlo in tutte le operazioni necessarie al mantenimento della struttura.

Ma qualcosa non funzionò. Si attese la nave invano. La Soya rimase intrappolata nei ghiacci a causa di una perturbazione inaspettata e molto violenta. Il tempo peggiorò ulteriormente non permettendo alla nave di avvicinarsi alla costa. L’anno precedente una nave russa aveva soccorso la Soya liberandola dai ghiacci, sebbene quest’ultima fosse una nave rompighiaccio.

300px-USCGC_Burton_Island
La rompighiaccio Burton Island

Questa volta la Burton Island, una rompighiaccio della guardia costiera americana in servizio presso le basi antartiche degli Stati Uniti, interverrà in soccorso della Soya. Le condizioni climatiche non permisero di avvicinarsi alla costa. Si decise quindi di rinunciare a raggiungere la stazione Syowa via nave e non fu possibile sbarcare il personale giapponese appena giunto. Per i nuovi arrivati la missione in Antartide era già terminata.

Con l’intervento di vari elicotteri si riuscì a prelevare il personale dalla base giapponese e condurlo sulla Burton. I soccorritori furono però costretti a lasciare i 15 cani da slitta presso la base, legati alle catene e con cibo appena sufficiente per qualche giorno. Probabilmente i membri della spedizione speravano di tornare a breve a recuperarli, ma purtroppo non fu così.

Tutti i membri della spedizione tornarono in Giappone e all’arrivo, invece dei festeggiamenti attesi, furono accolti da violente proteste. Grande infatti fu il disappunto dell’opinione pubblica per l’abbandono dei 15 membri animali della missione.

Un’associazione animalista giapponese promosse, pur senza successo, una petizione per il loro recupero.  L’opinione pubblica criticò aspramente il Japanese Antartic Research (JARE), ente responsabile ed attuatore della spedizione. Il JARE tentò di giustificare il gesto: ogni eventuale tentativo di recupero dei cani avrebbe esposto tutti i membri della spedizione e di soccorso ad un enorme rischio. Rischio che evidentemente l’organizzazione giapponese decise di non assumersi. Ma nulla valse a calmare gli animi di un’opinione pubblica decisamente risentita.

Nel gennaio 1959, nonostante le polemiche, la terza spedizione antartica giapponese partì per proseguire il lavoro lasciato in sospeso l’anno precedente. Ai membri della spedizione, giunti in base il 14 gennaio, si rivelò lo scenario della tragica disavventura occorsa ai cani abbandonati.

Dei 15 membri della muta di Husky, il personale della nuova spedizione ne trovò 7 morti ancora in catene (Aka, Goro, Poi, Moku, Pesu, Kuma, originari del Montbetsu) mentre 8 erano riusciti a liberarsi. Di questi, 6 non verranno mai ritrovati (Riki, Anko, Deri, Jakku, Shiro, e Kuma, provenienti dal Furen) mentre 2, i fratelli Taro e Jiro, furono trovati vivi e in buona salute. Gironzolavano nei dintorni della base, ben felici della vista di altri esseri animati.

Taro_Jiro_big
Taro e Jiro al momento del loro ritrovamento

Taro e Jiro al tempo dell’abbandono erano i più giovani della muta. Erano sopravvissuti un intero anno in isolamento, senza cibo, sopportando le glaciali temperature del buio inverno antartico. Probabilmente avevano imparando a cacciare pinguini e foche per nutrirsi. Ipotesi suffragata dal fatto che i corpi dei cani deceduti in catene furono rinvenuti intatti; se ne dedusse che né Taro né Jiro si alimentarono a spese dei compagni morti.

I cani rimasero ancora in Antartide e continuarono a lavorare come cane da slitta presso la stazione Syowa. Nel 1960 Jiro morì per cause naturali e il suo corpo fu rimpatriato in Giappone, dove venne imbalsamato. Taro ritornò a Sapporo nel 1961, sua città natale, dove visse presso l’Università di Hokkaido fino alla sua morte nel 1970. Anche lui fu in seguito imbalsamato.

I due cani diventarono degli eroi nazionali in Giappone. La loro storia divenne famosa in tutto il mondo, grazie anche a due film a loro dedicati (“Antarctica”, “8 amici da salvare”).

Prima ancora dell’insperato ritrovamento di Taro e Jiro, nel luglio 1958, in Giappone fu eretto un monumento per onorare il sacrificio dell’intera muta dei cani. Dopo il ritrovamento, ai due cani furono dedicati vari monumenti in tutto il Giappone. In particolare nel 1959 l’intera muta fu commemorata con una scultura ai piedi della Tokyo Tower.

KONICA MINOLTA DIGITAL CAMERA

In loro ricordo il Giappone ha istituito il “Giorno dell’amore, della speranza e del coraggio” celebrato il 14 gennaio, giorno in cui avvenne il loro ritrovamento.

E’ stata coniata una moneta commemorativa dedicata a Taro, Jiro e all’Antartide.

MONETA_taro_jiro

Gli esploratori antartici avevano usato per la prima volta i cani da slitta nel 1899 nel corso della prima spedizione antartica inglese.

Amundesn_expedition_dogs
I cani della spedizione di Amundsen al Polo Sud. La scelta dell’utilizzo dei cani da slitta si rivelò uno degli elementi  vincenti, rispetto ai mezzi motorizzati ed ai pony utilizzati da Scott, nella quasi parallela corsa per la conquista del Polo Sud geografico (1912).

Circa un secolo dopo, il 22 febbraio 1994 gli ultimi cani ancora presenti in Antartide furono evacuati, nel rispetto delle clausole ambientali del trattato antartico.  I cani da slitta, così come qualsiasi  altra forma animale aliena al territorio fu infatti ritenuta un potenziale veicolo di malattie, letali per la fauna locale.

La partenza degli ultimi cani dall’Antartide segnò la fine di un’era, quella delle esplorazioni antartiche in cui i membri delle spedizioni dipendevano per la loro sopravvivenza da altri esseri animati. I cani da slitta, nel bene o nel male, sono stati di fondamentale importanza nell’esplorazione del continente e nella ricerca scientifica che vi è stata condotta. Uomini e cani hanno contato uno sull’altro per la propria sopravvivenza, pagando in alcuni casi con la propria vita il prezzo di questo patto.

antarctic_dogs_return_from_Mawson
1992: i cani da slitta della stazione Mawson (base australiana in Antartide) rientrano dall’Antartide via nave