L’età della Terra

Gran parte di ciò che oggi è scienza e che noi consideriamo certezze affermate fu, per le civiltà più antiche, motivo di inquietanti interrogativi. Tra questi indubbiamente grande fascino ha  esercitato sulle più brillanti menti della storia quello della definizione dell’età della Terra. In mancanza dei supporti cognitivi e strumentali di cui oggi disponiamo, questo e altri quesiti trovarono una facile risposta nella teoria creazionistica delle religioni.

di Fabio Florindo

Le Sacre Scritture hanno rappresentato nelle epoche più antiche e per lungo tempo, la sola fonte da cui prendere gli spunti per definire, seppur grossolanamente, l’età della Terra, uno dei più importanti quesiti a cui si è cercato di dare una risposta sin dai tempi più antichi. L’ambiente Teologico ha rappresentato per molto tempo l’unica possibilità per poter studiare approfonditamente qualsiasi disciplina.

Tra i primi studiosi della questione è citato San Barnaba, che assegnò alla Terra un’età approssimativa di 6000 anni. Era il I secolo d.C. e molto ancora doveva accadere per poter conoscere e capire.

Le ricerche più significative ebbero luogo soltanto nel nostro millennio. Nel 1647, John Lightfoot (1602-1675) brillante studente del Christ’s College dell’Università di Cambridge, pubblicò i risultati di una sua interpretazione delle date riportate nel Vecchio Testamento. La creazione della Terra avveniva nel 3928 a.C., nel giorno dell’equinozio di Autunno!

John_Lightfoot

Tre anni dopo, nel 1650, James Ussher (1581-1656) un prelato irlandese studioso della Bibbia e della storia del Cristianesimo, rese noti i risultati da lui ottenuti integrando considerazioni storiche, conoscenze sui cicli astronomici e diverse fonti di cronologia biblica. Egli datò la Creazione nel pomeriggio del 22 Ottobre 4004 a.C. Il Diluvio Universale trovava la sua collocazione nell’anno 2349 a.C.

James_Ussher_by_Sir_Peter_Lely

Queste date sembravano avere grande credibilità, ma non potevano spiegare in un così breve lasso di tempo l’esistenza di rilevanti accumuli di sedimenti. Tanto meno potevano spiegare il sollevamento e/o la scomparsa di intere catene montuose.

Il problema fu ovviato con l’avvento del Catastrofismo, una corrente di pensiero alimentata dalla convinzione che i repentini cambiamenti e le notevoli metamorfosi subite dalla Terra altro non fossero che il risultato di catastrofi naturali che abbattendosi sulla Terra in modo rapido, gli avrebbero appunto conferito il suo aspetto definitivo.

La stragrande maggioranza degli scienziati di fine ‘700 e di inizio ‘800, riteneva che la Terra dovesse essere molto più vecchia. Tra questi, George-Louis Lecrerc, Conte di Buffon (1707-1788), conosciuto maggiormente per il monumentale lavoro enciclopedico in 35 volumi “Historie Naturelle, Générale et Particuliére“, che abbracciava i più disparati campi delle scienze naturali. Tra questi, nel volume “Epochs of Nature“, pubblicato nel 1778, prendeva in considerazione la questione della nascita della Terra. Nella sua visione, il sistema solare, e quindi la Terra stessa, si sarebbero formati a seguito di una violenta collisione tra una cometa ed il Sole. Da questo evento sarebbero stati creati una serie di “globi” di fuoco che raffreddandosi avrebbero dato origine ai futuri pianeti e satelliti. George-Louis Lecrerc fece costruire dieci sfere di ferro di diametro variabile da 1.3 cm a 12,5 cm dalla fonderia di sua proprietà. Sulla base del tempo necessario affinché queste “sfere”, dopo essere state scaldate, raffreddassero a temperatura ambiente ed ipotizzando l’interno della Terra costituito nella quasi totalità da ferro, egli fece una stima dell’età della Terra prossima a 74832 anni.

Buffon_1707-1788

Il 1785 fu una tappa decisiva. Il fisico scozzese James Hutton (1726-1797) originario di Edimburgo, per primo si distaccò pienamente dalle interpretazioni delle Sacre Scritture, intuendo che la Terra fosse molto più antica e che il tempo geologico avesse un’estensione tale da superare ciò che di immaginabile era per l’uomo. Una dissertazione riguardante il sistema della Terra, la sua Durata e Stabilità, da lui stesso letta alla Royal Society di Edimburgo, tra il 7 Marzo ed il 4 Aprile 1785, riportava:

 “..if, on the contrary, no period can be fixed for the duration or destruction of the present earth, from our observations of those natural operations, which, though unmeasurable, admit of no dubiety, we shall be warranted in drawing the following conclusion; 

1st, That it had required an indefinite space of time to have produced the land which now appears; 2dly, That an equal space had been employed upon the construction of that former land from whence the materials of the present came;

lastly, That there is presently laying at the bottom of the ocean the fundation of future land, which is to appear after an indefinite space of time.

“..se, al contrario, nessun periodo di tempo può essere fissato per la durata o distruzione della terra presente, dalla nostra osservazione di quelle operazioni naturali, benchè immisurabili, indubbiamente noi saremo sicuri nel disegnare la seguente conclusione; 

1) Che è stato richiesto un indefinito spazio di tempo per aver prodotto la terra che ora appare;

2) Che uno spazio equivalente è stato impiegato per la costruzione di quella prima Terra dalla quale i materiali del presente derivano;

3) Che attualmente giace nel fondo dell’oceano la fondazione della futura terra che apparirà dopo un indefinito spazio di tempo.

Venivano così poste le basi del principio dell’attualismo, successivamente sviluppato dallo stesso Hutton nel libro Theory of the Earth with Proof and Illustrations, pubblicato nel 1785, dove affermava riferendosi alla Terra, che:

“..no vestige of a beginning-no prospect of an end” 

“nessuna traccia di un inizio, nessuna prospettiva di una fine”

teory of the earth

In seguito, il geologo scozzese Charles Lyell (1797-1875) nella sua opera classica “Principles of Geology“, pubblicata nel 1830, convalidava tra le altre cose la tesi di Hutton. Il geologo inglese riteneva che, in contrapposizione al “catastrofismo”, ogni fenomeno verificatosi nel passato della storia terrestre fosse dovuto a cause identiche a quelle che agiscono al presente, il quale altro non sarebbe che la graduale continuazione del passato, secondo una trasformazione lenta e progressiva. Nel 1854 Hermann von Helmholtz (1821-1894) stimò per la Terra una età compresa tra i 20 ed i 40 milioni di anni, basando le sue stime sul tasso di produzione di energia irradiata dal Sole: ancora una tappa destinata ad essere superata.

Qualche anno dopo, nel 1863, il fisico inglese William Thomson (1824-1907) meglio conosciuto come Lord Kelvin per essere stato insignito del titolo di Barone Kelvin di Largs nell’Ayrshire, attaccò tali ormai radicati assiomi e tentò, primo fra tutti, di definire un metodo quantitativo per determinare l’età della Terra. I suoi calcoli si basavano su diverse osservazioni fenomenologiche quali il calore irradiato dal Sole, l’effetto mareale sulla rotazione terrestre e la storia termica della Terra. Egli osservò da ricerche condotte in alcune miniere che la temperatura aumentava in maniera pressoché costante con l’aumentare della profondità, con un tasso simile in diverse parti del pianeta. Da queste osservazioni, confermate da alcune trivellazioni, Kelvin immaginò che la Terra da uno stato fuso iniziale si stava raffreddando gradualmente per conduzione. Valutò il tasso di raffreddamento misurando le differenze di temperatura esistenti tra il fondo delle miniere e gli strati più superficiali. Una sua prima datazione del passaggio dallo stato fuso a quello solido fu di 98 milioni di anni, considerando una temperatura iniziale di 3870°C, una conducibilità termica delle rocce costituenti la Terra mediata su tre valori caratteristici per sabbia, arenaria e diabase ed infine un gradiente termico di 3.6°C per ogni 100 metri di profondità. In seguito, conscio dei limiti di questa sua prima stima, Kelvin concludeva che la crosta terrestre doveva essersi formata in un periodo compreso tra i 400 e i 20 milioni di anni dal presente. A tale riguardo, Charles Darwin (1809-1882) nel suo “Origin of Species” scriveva:

“..sir W. Thomson concludes that the consolidation of the crust can hardly have occurred less than 20 or more than 400 m.y. ago, but probably not less than 98 or more than 200 m.y. These very widelimits show how doubtful the data are; and other elements may have hereafter to be introduced into the problem” 

“..sir W.Thomson ritiene che la consolidazione della crosta terrestre può difficilmente essere avvenuta meno di 20 o più di 400 milioni di anni fa, ma probabilmente non meno di 98 o più di 200 milioni di anni fa. Questi limiti così ampi mostrano quanto dubbie siano queste date; altri elementi dovranno necessariamente essere introdotti per risolvere il problema” 

In un successivo, famoso trattato del 1897 “The Age of the Earth as an Abode Fitted for Life“, Lord Kelvin sottolineava che molti dei dati mancanti al tempo della sua prima stima del 1862 erano ora disponibili ed era necessario modificare quelle stime:

“During the thirty-five years which have passed since I gave this wide-ranged estimate [of 20-400 million years] experimental investigation has supplied much of the knowledge then wanting regarding the thermal properties of rocks to form a closer estimate of the time which has passed since the consolidation of the earth, and we have now good reason for judging that it was more than 20 and less than 40 million yeras ago, and probably much nearer 20 than 40”.

“Durante i trentacinque anni che sono trascorsi da quando diedi le prime ampie stime [20-400 milioni di anni] la sperimentazione ha dato molta della conoscenza che allora cercavamo sulle proprietà termiche delle rocce utile nel dare una stima migliore del tempo trascorso dalla consolidazione della Terra e adesso, noi abbiamo buone ragioni per affermare che essa avvenne più di 20 e meno di 40 milioni di anni fa e probabilmente molto più prossima a 20 che a 40”. 

All’epoca, era tanto e tale il prestigio di Kelvin, che le sue valutazioni influenzarono notevolmente il lavoro di tutti coloro che, con altri metodi, tentarono di dare una età al Pianeta. Le conclusioni delle ricerche condotte in quel periodo erano dello stesso ordine di grandezza della stima da lui ottenuta. Qui di seguito, schematicamente, i più conosciuti che utilizzarono come metodo di datazione stime basate sullo spessore di serie sedimentarie.

Anno Autore Età della Terra
(milioni di anni)
1860 Phillips 96
1878 Haughton 200
1889 Croll 72
1892 Wallace 28
1893 Walcott 45-70
1900 Sollas 26.5
1909 Sollas 80

 

Nel 1899, il fisico irlandese John Joly (1857-1933) tentò di stimare l’età della Terra dalla quantità dei sali contenuti negli oceani. Egli partì dal presupposto che gli oceani inizialmente erano formati da acque dolci, e valutando il tasso con il quale il sodio giungeva ad essi dai fiumi (da lui stimato intorno a 160 milioni di tonnellate per anno) ritenne possibile stimare l’età degli oceani e quindi della Terra. Indicò così una età di 90 milioni di anni.

Nel 1896, tre anni prima di questo tentativo di Joly e un anno prima della presentazione del trattato di Lord Kelvin, il francese Henry Becquerel (1852-1908), professore di fisica presso il Musée d’Histoire Naturelle di Parigi, annunciava alla comunità scientifica la scoperta della proprietà di alcuni elementi naturali di emettere spontaneamente delle radiazioni. A questa scoperta arrivò casualmente. Studiando le proprietà di fluorescenza dei sali di uranio osservò infatti che alcune lastre fotografiche, lasciate per qualche tempo chiuse nelle loro scatole in vicinanza di tali sali, si impressionavano come se fossero state esposte alla luce. Furono così poste le basi della moderna geocronologia e gli anni successivi furono un susseguirsi di scoperte e di rudimentali applicazioni dei primi concetti di datazione radiometrica.

Nel 1899, il fisico neozelandese Ernest Rutherford (1871-1937), all’epoca professore di fisica alla McGill University di Montreal, scopriva che le radiazioni emesse da sostanze radioattive sono costituite da tre diverse componenti da lui stesso “battezzate” radiazioni a (costituite da nuclei di Elio 4He), radiazioni b (identificate come elettroni) e radiazioni g (onde elettromagnetiche di altissima frequenza).

Nel 1903, Pierre Curie (1859-1906) dimostrava che la disintegrazione degli elementi radioattivi è un processo esotermico, quindi la Terra non è, come postulava Kelvin, un corpo in raffreddamento, ma è essa stessa sorgente di calore. Questa teoria indirettamente smentiva quanto precedentemente calcolato da Kelvin. Lo stesso Kelvin rimarcò l’infondatezza delle sue stime qualora fossero esistite altre fonti di calore interno.

Nel 1905, Ernest Rutherford e il chimico americano Bertram Borden Boltwood (1870-1927), riscontravano che la radioattività fornisce anche un metodo accurato per misurare l’età delle rocce e dei minerali che le costituiscono e quindi l’età della Terra. A questo scopo era necessario calcolare il tasso di accumulo di Elio (particelle a) generato per decadimento dell’uranio contenuto nei minerali radioattivi. Lord Kelvin, che seguiva con attenzione il succedersi di queste prime scoperte, era talmente scettico che scommise con il fisico inglese Lord John William Strutt (1842-1919), noto come Lord Rayleigh, che tutto ciò non avrebbe avuto alcun seguito.

Un anno dopo, nel 1906, lo stesso Lord Rayleigh scopriva che alcuni elementi radioattivi, quali Uranio-238, Uranio-235, Torio-232, Rubidio-37, Potassio-40, Carbonio-14, erano presenti in tutte le rocce. Nel 1907, Bertram Borden Boltwood pubblicò la prima determinazione di età assoluta su tre campioni di uranite, ricavata in base al rapporto Uranio/Piombo negli stessi. Qualche anno piu’ tardi, nel 1913, un giovane 23enne nel suo libro “The Age of the Earth“, descrisse ampiamente l’importanza della radioattività quale strumento determinante per valutare l’età della Terra. Presentò inoltre la prima scala geologica dei tempi, “costruita” basandosi principalmente sullo spessore di serie sedimentarie e sulla produzione di Elio da rocce contenenti Uranio: il giovane, non ancora laureato, era Arthur Holmes (1890-1965).

Ventisei anni dopo la scoperta di Becquerel, nel 1923, lo studio della radioattività delle rocce e la misura del tempo geologico vennero ufficialmente riconosciuti negli U.S.A quando il National Research Council of the Academy of Science costituì il Comitato della Misura del Tempo Geologico da Disintegrazione Atomica. Nel 1931, Holmes concludeva che l’età della Terra

“exceeds 1460 m.y., is probably not less than 1600 m.y. and is probably much less than 3000 m.y.” 

“è superiore a 1460 milioni di anni, è probabilmente non inferiore a 1600 milioni di anni ed è probabilmente molto più giovane di 3000 milioni di anni”

Come era facilmente prevedibile, i valori di età da lui ottenuti non incontrarono alcun favore dalla comunità scientifica in quanto ritenuti esageratamente antichi e trascorsero ancora diversi anni perché questi “inconsueti” ordini di grandezza per l’età del pianeta venissero accettati.

Le moderne stime dell’età della Terra sono basate esclusivamente su sistemi di decadimento radioattivo. Le rocce più antiche della Terra, datate con il metodo Uranio/Piombo a circa 3800 milioni di anni, sono state rinvenute nell’area di Isua, a sud-ovest della Groenlandia. Stime analoghe o di età ancor più antica, sono state ottenute per rocce provenienti dalla regione dello Yellowknife (Canada) e dall’Australia sud-occidentale.

Altre informazioni determinanti per stabilire l’età del nostro pianeta provengono dalla Luna e dai meteoriti. Infatti, astronomi e astrofisici sono concordi nel ritenere che tutto il sistema solare (comprendendo Sole, pianeti, asteroidi e comete) si formò circa 4600 milioni di anni fa per collasso e successiva condensazione di una nebulosa solare principalmente costituita da gas e polvere interstellare. Ipotesi peraltro già avanzata tre secoli prima da René Descartes (latinizzato in Cartesio) (1596-1650). Nella fase di collasso, la maggior parte della massa andò verso il centro a formare il proto-Sole e altre parti, rimasti nella nube, formarono pianeti e satelliti. Ogni differenza chimica tra asteroidi, pianeti e satelliti sarebbe legata ai fenomeni chimico-fisici avvenuti al momento della condensazione.

Uno degli obiettivi principali delle missioni Apollo (1969-1972) fu quello di prelevare campioni di rocce lunari, costituiti da materiale regolitico, vetri, brecce e rocce solide, per studi di geocronologia. Sono stati prelevati un totale di 381.69 kg di campioni dai quali, utilizzando i metodi di datazione assoluta Uranio/Piombo (U/Pb) e Rubidio/Stronzio (Rb/Sr), si è stabilito che le aree di altopiano sono le più antiche della Luna ed i campioni prelevati in tali settori hanno fornito date prossime a 4600 milioni di anni.

La stessa età è stata desunta dalla misura delle abbondanze dei radioisotopi in campioni di meteoriti (condriti) rinvenuti in vari luoghi della superficie terrestre, a conferma dell’affascinante ipotesi di una origine comune, 4600 milioni di anni fa, del sistema solare.

Concludendo, se da una parte si è giunti ad una stima più o meno definitiva dell’età della Terra, (4600 milioni di anni) è ancora aperta la questione della differenza tra questa età e quella trovata per le più antiche rocce terrestri (3800 milioni di anni). Si ipotizza che la crosta terreste “primordiale” sia stata più volte riciclata dai processi endogeni ed esogeni (vulcanismo, metamorfismo, alterazione meteorica) azzerando quindi a più riprese l’orologio radiometrico.

grafico
Il grafico illustra come è cambiata negli ultimi duemila anni la stima dell’età della Terra. Dalle prime datazioni di S.Barnaba del I secolo d.C. che assegnava alla Terra una età approssimativa di 6000 anni, alle recenti stime radiometriche, prossime ai 4600 milioni di anni.