Anche le montagne hanno le radici
Visualizziamo una montagna che maestosamente si staglia davanti a noi e si erge verso il cielo. A cosa è dovuta la sua altezza? La geologia ci fornisce la risposta.
Le catene montuose corrispondono a settori della crosta terrestre inspessiti a seguito di forti deformazioni, come ad esempio dopo una collisione continentale (vedi anche questo post). La crosta inspessita sprofonda nel mantello fino a che una spinta di galleggiamento (come per la forza di Archimede) ne compensa il maggior peso.
Immaginiamo una barca che galleggi sul mare: sarà immersa parzialmente nell’acqua. Se sulla nave mettessimo un peso, ad esempio di 5 tonnellate come mostrato nel disegno sottostante, la barca, più pesante, si immergerebbe ancora di più in acqua. Nel momento in cui riducessimo il peso da 5 a 3 tonnellate, la barca risalirebbe e la parte immersa in acqua sarebbe minore.

Processi simili avvengono per le catene montuose: zone di crosta inspessita che affondano nel mantello e su cui letteralmente galleggiano per via della loro minore densità.
La struttura dell’interno della Terra è fatta a strati la cui densità aumenta man mano che ci si sposta verso l’interno (ossia spostandosi dalla crosta al nucleo).

Le catene montuose, costituite dall’impilamento tettonico di scaglie di crosta continentale, tendono ad affondare nel mantello e a raggiungere un equilibrio con la forza di galleggiamento. Questo equilibrio è detto isostasia e per aggiustamenti isostatici si intendono quei movimenti verticali (verso l’alto o verso il basso) con cui la crosta reagisce ad ogni modifica dell’equilibrio.
Durante la formazione di una catena montuosa (orogenesi) lo spessore della crosta deformata aumenta notevolmente. Come conseguenza, il settore di crosta deformato sprofonda nel mantello finché la spinta da parte del mantello (che si comporta in modo plastico) ne compensa il peso. Le nuove montagne rimangono così sollevate rispetto alla quota media del continente perché sostenute dalle loro radici.

Le catene montuose sono comunque soggette ad erosione e quindi, una volta esaurita la spinta orogenica, vanno incontro ad una progressiva riduzione del volume e dello spessore. Il mantello riesce a risalire verso l’alto (movimento isostatico verticale) fino a raggiungere una nuova posizione di equilibrio, diminuendo di conseguenza lo spessore delle radici della catena montuosa.
Se la catena viene totalmente spianata dall’erosione, le radici scompaiono e lo spessore della crosta diventa quello medio osservato, come avviene per gli scudi continentali e tavolati. Questi appaiono come ampie aree pianeggianti e sono le zone più antiche della Terra.
Lo stesso processo avviene durante i periodi glaciali quando parti della crosta sono coperti da ghiacciai. Lo spessore dei ghiacci crea un carico sulla crosta che, avendo un peso maggiore, affonda nel mantello fino a raggiungere un certo equilibrio isostatico. Con lo scioglimento dei ghiacciai, durante un periodo interglaciale, la crosta si alleggerisce e va incontro a movimenti verticali (sollevamento) per compensare il minor carico e raggiungere un nuovo equilibrio.

Questo è quanto è avvenuto nell’area della Penisola Baltica.
I movimenti isostatici avvengano con estrema lentezza. Nel corso dell’ultima glaciazione, ad esempio, un’enorme coltre di ghiaccio aveva ricoperto l’intera Europa settentrionale. La crosta, sotto il suo peso, è sprofondata nel mantello. Con lo scioglimento dei ghiacciai si è alleggerita ed ha iniziato lentamente a risollevarsi. Il sollevamento, iniziato con la deglaciazione avvenuta tra 20.000 e 11.700 anni fa, è tutt’ora in atto.

In copertina: Le pale di San Martino, gruppo montuoso delle Dolomiti (Trentino), foto di ©Chiara Caricchi