Storia della geofisica: il magnetismo e l’espansione dei fondali oceanici

La nascita e l’evoluzione della teoria dell’espansione dei fondali oceanici

di Chiara Caricchi

Cosa è la teoria della espansione dei fondali oceanici?

La teoria della espansione dei fondali oceanici venne avanzata dallo scienziato statunitense Harry Hammond Hess alla fine degli anni ‘50 del secolo scorso. Egli affermò che i continenti sono trasportati passivamente dai moti del mantello. Il materiale caldo in movimento dal mantello sale e arriva in superficie e fuoriesce lungo le dorsali oceaniche (zona assottigliata e fratturata della superficie terrestre). Il materiale fuso (lava) si raffredda e solidificandosi genera nuova litosfera. A sua volta questa litosfera, trascinata da movimenti del mantello, si allontana da entrambi i lati della dorsale, andando a formare il fondale delle piane abissali.

dorsali
Rappresentazione schematica di una dorsale oceanica. Lungo questa struttura fuoriesce lava, in risalita dal mantello, che raffreddandosi genera nuova crosta (oceanica) che va a formare le piane abissali.

 

Ma se si forma nuova crosta perché la terra non ha cambiato il suo volume?

Questa è una domanda che intrigò molto lo scienziato Hess e che lo portò a teorizzare che una quantità eguale di litosfera deve essere distrutta in altre zone della terra, le zone di subduzione o fosse oceaniche. Man mano che il mantello si allontana dalla dorsale si raffredda e diventa più pesante inizia ridiscendere e con esso anche la sovrastante crosta oceanica che si piega e si immerge nel mantello generando le fosse.

Rappresentazione schematica di una zona in subduzione dove la litosfera fredda e densa inizia a scendere in profondità e fondere generando vulcanismo.
Rappresentazione schematica di una zona in subduzione dove la litosfera fredda e densa inizia a scendere in profondità e fondere generando vulcanismo.

E il magnetismo cosa c’entra in tutto questo?

C’entra moltissimo! Negli anni ’60 campagne di misura svolte su navi oceanografiche hanno permesso di descrivere in modo dettagliato i fondali marini evidenziando la presenza delle dorsali oceaniche. Inoltre queste navi avevano a bordo strumenti in grado di misurare l’intensità del campo magnetico. Le misurazioni  compiute in mare aperto evidenziarono la presenza di anomalie magnetiche, cioè di deviazioni positive o negative rispetto ai valori normali medi dell’intensità del campo magnetico terrestre. In particolare quello che colpì l’interesse degli studiosi fu osservare fasce di anomalie magnetiche parallele alle dorsali oceaniche, simmetriche tra di loro e con valori di magnetizzazione che si alternavano, da un valore positivo a uno negativo. Nei fondali oceanici veniva osservato un pattern molto simile a quello del mantello di una zebra.

zebra
Mappa delle anomalie magnetiche sui fondali oceanici a largo della costa occidentale nord americana (da 40° a 52° gradi di latitudine). Immagine da Raff A.D. e Mason R. Magnetic survey off the west coast of north america, 40° n. latitude to 52° n. latitude. Geological Society of America Bulletin, v. 72, p. 1267-1270, Agosto 1961

Ma che cosa stavano a significare queste anomalie? La risposta venne dai geofisici Drummond Hoyle Matthews e Frederick John Vine. Questi scienziati spiegarono il fenomeno partendo da due presupposti:

  • Le rocce che formano i fondali degli oceani sono delle rocce vulcaniche che si magnetizzano al momento della loro formazione;
  • Il campo magnetico ha manifestato numerose inversioni di polarità nel tempo geologico, ricostruite attraverso dati paleomagnetici (vedi FAQ).

Su questa base Matthews e Vine affermarono quindi che le anomalie dovevano essere legate a magnetizzazioni delle rocce o con direzione uguale al campo magnetico misurato (anomalie positive-bande nere) o con direzione opposta (anomalie negative-bande bianche).

In seguito la prova indipendente e sperimentale fornita dai paleomagnetisti permise di correlare la scala temporale delle inversioni di polarità del campo magnetico terrestre – ricostruita attraverso studio di dettagli su sequenze laviche esposte sulla terraferma – alle anomalie magnetiche dei fondali oceanici, confermando l’attendibilità della teoria di Hess e portando alla sua definitiva affermazione.

La conseguenza del fatto che la crosta oceanica ha magnetizzazioni differente, comporta quindi che si sia formata anche in tempi diversi. Ed è qui che ci riagganciamo alla teoria della espansione dei fondali oceanici.

La lava, fuoriuscendo dalla dorsale oceanica, si raffredda e genera nuova crosta oceanica, magnetizzata secondo la polarità del campo magnetico presente al momento della eruzione. In seguito la crosta neoformata viene fratturata lungo la dorsale e si allontana da essa lasciando spazio alla formazione di nuova crosta, così come mostrato in figura passando dal tempo 1 al tempo 3 .

 

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Rappresentazione schematica dell’espansione del fondale presso una dorsale medio oceanica

 

L’ipotesi di questa espansione degli oceani porta anche la conseguenza secondo cui l’età delle rocce dei fondali oceanici non è ovunque la stessa, ma deve essere tanto più antica quanto più ci si allontana dalla dorsale.

Questa supposizione è stata definitivamente confermata alla fine degli anni ‘60 quando una nave da crociera Glomar Challenger permise studi scientifici e ricerche in mare profondo. Vennero prelevati alcuni campioni a seguito i carotaggi dei fondali oceanici. Da misure specifiche effettuate su questi campioni si è risaliti alla età delle diverse bande di anomalia magnetica. Il passo successivo è stato quindi quello di definire la velocità con cui gli oceani si espandono, calcolata considerando la distanza dalla dorsale e la età delle rocce in esame. Tale velocità è risultata essere qualche cm all’anno. Possiamo immaginare che gli oceani si espandono ad una velocità paragonabile a quella della crescita delle unghie delle nostre mani.


Le immagini sono di C. Caricchi

Immagine di copertina: NASA Earth Observatory maps by Joshua Stevens, using data from Sandwell, D. et al. (2014)

 

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