Eventi climatici catastrofici: l’ultima grande deglaciazione. Quale lezione per il futuro?

di Leonardo Sagnotti (INGV) e Renata Giulia Lucchi (OGS)

 “Quando il settimo giorno spuntò, si placò la tempesta, si spianò la marea che aveva infuriato come un esercito in guerra; le onde si fecero tranquille, cessò il vento tempestoso e i flutti smisero di salire” (La saga di Gilgamesh).

Il diluvio durò sulla terra quaranta giorni: le acque crebbero e sollevarono l’arca che si innalzò sulla terra.  Le acque divennero poderose e crebbero molto sopra la terra e l’arca galleggiava sulle acque. Le acque si innalzarono sempre più sopra la terra…” (La Sacra Bibbia, Genesi 6-8).

Il racconto del Diluvio fa parte della mitologia di diverse culture del Vicino Oriente e rappresenta il frutto di memorie che vennero tramandate oralmente di padre in figlio per lungo tempo, a riguardo di quello che potremmo senza dubbio definire un “evento climatico” estremo.

I dati geologici e stratigrafici ci permettono di identificare il verificarsi di uno di questi eventi estremi, avvenuto prima dello sviluppo delle civiltà del Vicino Oriente, caratterizzato da una rapidissima risalita del livello del mare a livello globale: si tratta dell’ultima grande deglaciazione, avvenuta tra 20.000 e 12.000 anni fa, che segna la fine dell’ultima epoca glaciale.

Molte ricerche geologiche e geofisiche sono state e tutt’ora vengono condotte per capire come questo evento climatico si sia manifestato nelle varie regioni del nostro pianeta. In particolare nelle aree polari ci si aspetta che eventi legati alla deglaciazione possano avere avuto effetti ampi e repentini. Una serie di studi recenti condotti in Artico, in collaborazione tra ricercatori dell’OGS e dell’INGV, sui sedimenti marini della scarpata continentale al largo delle isole Svalbard, hanno permesso di ricostruire nel dettaglio alcuni di questi effetti.

Prima di illustrare questi dati introduciamo una breve premessa per contestualizzare meglio il fenomeno di cui stiamo trattando.

L’ultima grande glaciazione del Quaternario, si verificò tra 115.000 e 15.000 anni fa, quando la gran parte dell’Europa settentrionale e delle Alpi erano ricoperte da una spessa calotta di ghiaccio. Il culmine dell’espansione dei ghiacci risale a circa 20.000 anni fa, quando si stima che il volume dei ghiacciai continentali era di 52 milioni di km3 maggiore di ora. In quel tempo l’Europa si presentava come nella ricostruzione mostrata nelle figure che seguono.

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Ricostruzione geografica dell’estensione dei ghiacci in Europa durante l’ultimo massimo glaciale, sulla base topografica attuale (dalla tesi di Mara Jaunsproge)

 

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Ricostruzione geografica dell’Europa durante l’ultimo massimo glaciale (LGM = last glacial maximum), con rappresentazione anche delle linee di costa quando il livello del mare era di circa 120 m più basso (da EGUblog)

Il livello del mare era circa 120 m più basso dell’attuale. Una situazione in cui, ad esempio, il mare Adriatico settentrionale era completamente emerso e la foce del Po si trovava all’altezza del litorale abruzzese.

Il periodo di tempo che va tra i 20.000 e gli 11.700 anni fa comprende la fase di riscaldamento che determinò la deglaciazione, ovvero la scomparsa delle estese calotte di ghiaccio. Questo periodo è caratterizzano da una drastica instabilità climatica che include momenti di rapidissimo ritiro dei ghiacciai e conseguente velocissima risalita del livello del mare.

La civiltà umana si è sviluppata rapidamente alla fine di questo periodo, durante un intervallo di tempo caratterizzato da condizioni climatiche globali particolarmente stabili. Questo periodo è detto Olocene e copre gli ultimi 11.700 anni (per una classificazione al tempo geologico si rimanda ad un precedente articolo di questo blog –  “Quanto tempo fa?”). Tecnicamente, l’Olocene è uno dei brevi periodi “interglaciali” che contrassegnano la storia climatica degli ultimi 2 milioni di anni (del Quaternario). In questo periodo l’uomo sviluppò l’agricoltura, l’allevamento, la scrittura, la matematica, le scienze e le arti…. con una vorticosa espansione demografica e culturale che ha dato progressivamente origine alle società complesse del mondo in cui oggi viviamo.

Durante il processo di transizione che ha portato alla deglaciazione si riconoscono alcuni eventi (definiti come meltwater pulse – MWP) in cui si è verificata una drammatica accelerazione del processo di fusione glaciale e conseguente risalita del livello del mare.

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Aumento del livello del mare nel corso degli ultimi 20.000 anni, dalla fine dell’ultima grande glaciazione (©NASA)

Si stima che durante il maggiore di questi eventi (il MWP-1A), avvenuto durante poco più di 300 anni tra 15.000 e 14.000 anni fa, il livello del mare sia risalito di circa 20 m ad una velocità di circa 60 mm/anno. Si consideri, per raffronto, che il livello del mare globale nel corso del XX secolo si è innalzato in media di 1.7 mm/anno, con un incremento intorno ai 3 mm/anno a partire dal 1993.

Negli studi condotti sui sedimenti marini al largo delle isole Svalbard, l’evento di rapida deglaciazione MWP-1A è stato localmente identificato in un intervallo di fanghi fittamente laminati rappresentati nelle sezioni SEC-2,3,4 e 5 visibili nella figura seguente.

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Fotografia a raggi X dei sedimenti della carota SVAIS 03 prelevata al largo delle isola Svalbard, sulla scarpata continentale, ad una profondità di circa 760 m sotto il livello del mare.

La fusione ed il ritiro dei ghiacciai artici ha lasciato sul fondo marino oltre 4 m di fanghi che si sono deposti in poco più di un secolo al tasso di circa 3.4 cm/anno (ossia istantaneamente dal punto di vista geologico). Si consideri, sempre per raffronto, che nella stessa area l’intero Olocene (che – ricordiamo – comprende gli ultimi 117 secoli) è rappresentato da uno spessore di sedimenti dell’ordine di alcuni decimetri, ovvero è caratterizzato da un tasso di sedimentazione medio inferiore ai 5 cm ogni mille anni.

Lo studio di questi eventi climatici estremi del passato è importante per cercare di formulare scenari attendibili di evoluzione climatica nel futuro. Comprendere i meccanismi della deglaciazione nel passato può essere utile per prefigurare possibili future accelerazioni nell’innalzamento del livello del mare a causa della progressiva fusione delle calotte polari in relazione ai cambiamenti climatici legati alle attività umane. La fusione completa delle calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide occidentale porterebbe ad un aumento globale del livello del mare di circa 10 m. Alcune stime indicano che se si dovessero sciogliere anche i ghiacci che ricoprono l’Antartide orientale, il livello del mare risalirebbe di 60 m. Le ricerche sulle modalità ed i meccanismi dell’ultima grande deglaciazione ci dicono che la fusione dei ghiacci e la conseguente risalita del livello del mare può avvenire con eventi estremamente rapidi e bruschi, in grado di cambiare drasticamente la morfologia delle aree costiere nell’arco di poche decine di anni con drammatiche conseguenze per le infrastrutture e attività delle popolazioni a livello globale.


Per approfondimenti:

  • Deschamps P., Durand N., Bard E., Hamelin B., Camoin G., Thomas A.L., Henderson G.M., Okuno J., Yokoyama Y., (2012), Ice-sheet collapse and sea-level rise at the Bølling warming 14,600 years ago. Nature 483:559–564
  • Lambeck K., Rouby H., Purcell A., Sun Y., Sambridge M., (2014), Sea level and ice volume since the glacial maximum, Proceedings of the National Academy of Sciences Oct 2014, 111 (43) 15296-15303; doi: 10.1073/pnas.1411762111
  • Lucchi R.G., Camerlenghi A., Rebesco M., Colmenero-Hildago E., Sierro F.J., Sagnotti L., Urgeles R., Melis R., Morigi C., Barcena M.A., Giorgetti G., Villa G., Persico D., Flores J.A., Rigual-Hernandez A.S., Pedrosa M.T., Macrì P., Caburlotto A., (2013), Postglacial sedimentary processes on the Storfjorden and Kveithola trough mouth fans: impact of extreme glacimarine sedimentation, Global and Planetary Changes, 111, 309-326.
  • Lucchi R.G., Sagnotti L., Camerlenghi A., Macrì P., Rebesco M., Pedrosa M.T., Giorgetti G., (2015), Marine sedimentary record of Meltwater Pulse 1a in the NW Barents Sea continental margin, Arktos, The Journal of Arctic Geosciences, DOI 10.1007/s41063-015-0008-6.
  • Sagnotti L., Macrì P., Lucchi R.G., (2016), Geomagnetic palaeosecular variation around 15 ka ago from NW Barents Sea cores (south of Svalbard), Geophysical Journal International 204 (2): 785-797, doi: 10.1093/gji/ggv485