La geoingegneria in aiuto al clima: lo stoccaggio della CO2

Mentre il mondo affronta la realtà del riscaldamento globale dovuto a cause antropiche, l’ingegnosità umana cerca possibili soluzioni non solo per l’adattamento ai cambiamenti che si verificano sul nostro pianeta, ma anche per intervenire sul sistema climatico usando la tecnologia. Nasce così una nuova disciplina, la geoingegneria, che propone nuove tecnologie finalizzate alla rimozione dell’anidride carbonica (CO2) dall’atmosfera. Vediamo insieme quella che prevede la cattura e lo stoccaggio di questo gas serra nel sottosuolo.

di Monia Procesi, Barbara Cantucci, Mario Anselmi

Precipitazioni improvvise, intense ondate di calore, ritiro dei ghiacciai e aumento del livello marino sono solo alcuni dei principali effetti sul clima e sull’ambiente, dovuti al riscaldamento globale. Questo incremento di temperatura, legato ad un aumento delle concentrazioni di gas serra in atmosfera, è oggi particolarmente intenso e trova la sua causa nelle attività dell’uomo e in particolare in quelle industriali. L’innalzamento anche di solo mezzo grado centigrado, che potrebbe sembrare poca cosa, può avere un forte impatto su molte specie viventi, compreso l’uomo. Per mitigare questo rischio la scienza e la tecnologia ci propongono delle soluzioni come ad esempio quella di curare lo stoccaggio di anidride carbonica (CO2), il principale gas serra*, migliaia di metri al di sotto dei nostri piedi.

La CO2 è il prodotto di scarto primario delle attività industriali che utilizzano, per produrre energia, la combustione di combustibili fossili e biomasse. La sua concentrazione in aria ha avuto un’impennata dopo il 1970 in concomitanza con il boom industriale (IPCC 2014) portando negli ultimi decenni ad un aumento medio globale della temperatura di circa 1°C (IPCC 2018 – Global Warming of 1.5°C. Special Report), limite oltre il quale non dobbiamo andare per evitare conseguenze irreversibili sul nostro Pianeta (Figura 1).

Figura 1: Evoluzione della concentrazione di CO2 in atmosfera dal periodo pre-industriale ad oggi e andamento della temperatura media globale dell’aria vicino al suolo. (Immagine di M. Procesi). (Fonte dati: IPCC 2014, IPCC 2018)

Per limitare la presenza di questo gas serra nell’atmosfera è stata avanzata la proposta di stoccarlo nel sottosuolo. La cattura e lo stoccaggio di anidride carbonica nel sottosuolo è una tecnologia relativamente recente (anni ’70) che consente di catturare la CO2 direttamente dagli impianti industriali e di iniettarla all’interno di serbatoi naturali profondi (stoccaggio geologico) posti a migliaia di metri di profondità.

Lo stoccaggio geologico di CO2 è considerata una tecnologia ponte, da utilizzare in attesa che le politiche energetiche basate sui combustibili fossili vengano interamente sostituite dalle energie rinnovabili (Figura 2) (geotermia, idroelettrico, eolico, biomassa e solare). E’ stata annoverata dall’Organizzazione Intergovernativa sul Cambiamento Climatico (IPCC) tra i metodi più efficaci per ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera.

A questa l’IPCC raccomanda di affiancare comportamenti virtuosi come:

  1. ridurre il consumo di energia incrementando l’efficienza dei sistemi di conversione/utilizzazione (esempio usare elettrodomestici a basso consumo energetico);

  2. migrare verso l’utilizzo di combustibili fossili a basso contenuto di carbonio, privilegiando ad esempio il gas naturale al carbone;

  3. incrementare l’uso di risorse energetiche rinnovabili;

  4. ridurre la CO2 attraverso l’assorbimento da parte di foreste e suoli;

Figura 2: Lo stoccaggio geologico di CO2 come tecnologia ponte verso una completa migrazione dai combustibili fossili verso le energie rinnovabili come eolico, idroelettrico, solare, biomassa e geotermico (Immagine di M. Procesi)

Un esempio di successo di stoccaggio di anidride carbonica è il sito di Sleipner nel Mare del Nord tra Norvegia e Scozia (Figura 3), dove dal 1996 al 2017 sono state confinate a 1 km di profondità circa 16 milioni di tonnellate di anidride carbonica (CO2) provenienti da impianti industriali norvegesi.

Figura 3: Impianto di stoccaggio di CO2 di Sleipner, Mare del Nord. (Photo: Harald Pettersen / Equinor ASA)

I serbatoi geologici naturali dove si stocca la CO2 sono costituiti da rocce molto permeabili che hanno permesso l’accumulo di fluidi, come acqua (acquiferi) o idrocarburi (giacimenti), per milioni di anni e quindi possono ospitare la CO2 iniettata. Esempi di serbatoi riconosciuti dalla comunità scientifica come idonei sono quindi gli acquiferi salini profondi ed i giacimenti ormai esauriti di idrocarburi (petrolio e metano) e carbone (Figura 4).

Figura 4: Esempi di serbatoi geologici idonei al confinamento dell’anidride carbonica proveniente da impianti industriali. Questi serbatoi si trovano a centinaia di metri di profondità sotto i nostri piedi. Negli acquiferi salini la CO2 si dissolverà nell’acqua mentre nei serbatoi di olio e/o gas in via di esaurimento favoriranno la loro estrazione e il prosieguo della commercializzazione. (Immagine di M. Procesi)

Che succede alla CO2 dopo che è stata iniettata nel serbatoio?

La CO2 iniettata nel sottosuolo può rimanere intrappolata attraverso meccanismi fisici e chimici per migliaia di anni. Infatti il gas iniettato in pressione va ad occupare lo spazio tra i granuli della roccia spostando il fluido originariamente presente. La CO2 è un gas molto reattivo ed in presenza di acqua in parte si solubilizza, innescando una serie di reazioni chimiche tra l’acqua e la roccia ospite che portano alla consunzione di CO2 ed alla formazione di nuovi minerali che contengono gli elementi derivati dalla CO2 disciolta (Figura 5).

Figura 5: Meccanismi di intrappolamento della CO2 all’interno delle rocce che costituiscono il serbatoio geologico in cui viene immagazzinata. La formazione di nuovi minerali porta ad immagazzinamento stabile della CO2. Questo processo avviene in centinaia di migliaia di anni. (Immagine di Barbara Angioni)

Al di fuori dei siti di stoccaggio queste reazioni avvengono da sempre nei serbatoi naturali ricchi in CO2 che si trovano per esempio nelle aree vulcaniche o idrotermali.

In serbatoi petroliferi quasi esausti l’iniezione di CO2 consente di rendere il petrolio bituminoso più fluido e meno viscoso, incrementando la produzione di petrolio e prolungando la vita del giacimento.

In giacimenti a metano, l’iniezione di CO2 permette di mantenere elevata la pressione del serbatoio, incrementando la produzione di gas.

Nel caso di giacimenti esauriti di carbone, la CO2 viene assorbita dalla superficie del carbone stesso che si comporta come una spugna. Al suo posto viene rilasciato metano, naturalmente intrappolato nei pori del carbone. Il metano rilasciato può essere estratto e sfruttato commercialmente, permettendo un ritorno economico.

I serbatoi naturali sono sicuri? 

Per evitare che la CO2 possa ritornare in superficie i serbatoi di stoccaggio devono soddisfare alcuni requisiti:

  • Profondità maggiore di 800 m perché grazie alle alte pressioni del sottosuolo la CO2 è più densa, meno mobile e più solubile in acqua rispetto alle condizioni atmosferiche.

  • Ubicazione in aree a bassa pericolosità sismica per evitare che un evento sismico possa indurre una fratturazione del serbatoio facendo fuoriuscire la CO2.

  • Elevata porosità e permeabilità della roccia serbatoio così da permettere alla CO2 di accumularsi nei pori della roccia e reagire chimicamente con essa.

  • Presenza di una roccia a copertura del serbatoio poco permeabile (seal) che ostacoli la migrazione verticale della CO2 verso la superficie

  • Rispetto delle pressioni massime del serbatoio per evitare la riattivazione di faglie e l’innesco e/o l’induzione di terremoti.

In quali paesi è attivo lo stoccaggio di CO2?

Europa, USA, Australia e Giappone hanno finanziato progetti internazionali per acquisire conoscenze e testare questa tecnologia in siti pilota. Sleipner in Norvegia, Weyburn in Canada e In Salah in Algeria, sono alcuni esempi solo per citare i più famosi, favoriscono la cooperazione internazionale tra governi e istituti di ricerca  portando allo sviluppo di protocolli di monitoraggio, sicurezza e norme legislative specifiche.

Gli istituti di ricerca Italiani, tra cui l’INGV, hanno partecipato a vari progetti internazionali finanziati dalla Comunità Europea per l’ampliamento delle conoscenze su questa tecnologia. Il focus di questi progetti è la caratterizzazione di potenziali siti di stoccaggio di anidride carbonica e il monitoraggio prima, durante e dopo l’iniezione. Tuttavia non ci sono ancora progetti dimostrativi attivi nel nostro Paese. Eni ha in progetto di creare un grande sito di cattura e stoccaggio di CO2 tutto italiano al largo di Ravenna, nel medio Adriatico, dove sono presenti giacimenti di gas in via di esaurimento, sfruttando infrastrutture già presenti e la vicinanza a siti di emissioni industriali. Prima dell’emergenza Covid, Eni contava di terminare le valutazioni tecnico-scientifiche entro il 2025.

In particolare l’INGV ha lavorato alla definizione di aree potenzialmente idonee allo stoccaggio di anidride carbonica in Italia ed alla proposta di un piano energetico integrato tra stoccaggio di fluidi e geotermia simulando i meccanismi chimici e fisici di intrappolamento in un ipotetico serbatoio geologico (vedi gli approfondimenti).

Inoltre, da diversi anni INGV sta lavorando su un progetto pilota nel Sud-Ovest della Sardegna, nelle miniere di carbone ormai non più utilizzate del Sulcis, dove è in corso la realizzazione di un “laboratorio naturale”, un’infrastruttura di ricerca dove poter testare gli effetti dell’anidride carbonica e del suo comportamento nel sottosuolo. Al momento INGV sta caratterizzando l’area da un punto di vista sismico, monitorando la sismicità naturale di fondo e focalizzando l’attenzione sulla ricerca di faglie sismicamente attive. I risultati sono stati pubblicati ad Aprile 2020 sulla rivista International Journal of Greenhouse Gas Control.

Oltre allo stoccaggio c’è qualche altra soluzione??

Negli ultimi anni si parla anche di Carbon Capture Utilization and Storage (CCUS). Questa tecnologia prevede che la CO2 catturata venga in parte riciclata come reagente per la produzione di sostanze chimiche, plastiche o combustibili (es. metano, metanolo), contribuendo ulteriormente a ridurre i costi di cattura. Un’altra possibile soluzione ad oggi, del tutto sperimentale, è l’utilizzo della CO2 iniettata nel sottosuolo come fluido di lavoro nei sistemi geotermici. Con questa tecnica la CO2 funge da fluido che ha il compito di trasportare il calore che poi verrà convertito in elettricità.

L’apertura verso tecnologie come la cattura, l’utilizzo e stoccaggio di anidride carbonica al fine di mitigare le conseguenze dell’effetto serra possono rappresentare quindi una reale soluzione nell’attesa di una profonda trasformazione delle politiche energetiche che favoriscano la migrazione verso energie rinnovabili e sostenibili.


*I gas serra: buoni o cattivi?

I gas che costituiscono l’atmosfera e che respiriamo tutti i giorni (in particolare CO2 e CH4) hanno la capacità di trattenere parte del calore che viene irradiato dal sole. Questa è un processo benefico per la vita sulla Terra perché permette di avere una temperatura media al suolo di circa 15 °C. Senza i gas serra avremmo invece una temperatura al suolo di -18°C. Quando però le concentrazioni di questi gas aumentano, aumenta di conseguenza anche la temperatura, con importanti ripercussioni sul clima e sulle specie animali e vegetali che popolano il nostro pianeta. Oltre una certa soglia il processo di riscaldamento diviene irreversibile perché le foreste e gli oceani non sono più in grado di assorbire la CO2 in atmosfera. 


Per approfondire

Articoli scientifici:


Immagine di copertina di Francesca Di Laura, Ufficio Grafica INGV