Dolomiti di Calcare: la Marmolada regina delle Dolomiti è di calcare!
La Marmolada scampò al processo di dolomitizzazione, lasciandoci in eredità una parete di circa 1000 metri formata da compatto calcare grigio. Una delle meraviglie delle Dolomiti, nella cui parete sud albergano alcune tra le più belle vie di scalata su roccia. Uno spunto per parlare un po’ di Geologia e un po’ di alpinismo.
La Marmolada, detta anche la regina delle Dolomiti, dall’alto dei suoi 3348 metri è il rilievo più alto dell’intero gruppo dolomitico. Questa non è la sua unica particolarità: a differenza della maggior parte dei rilievi dell’area, la maestosa parete non è composta da dolomia. A rigore non dovrebbe far parte delle Dolomiti propriamente dette. E’ infatti costituita in prevalenza da calcari grigi molto compatti che si iniziarono a sedimentare nel mare del Triassico inferiore, circa 250 milioni di anni fa. Ed è in quel mare che si depositarono i sedimenti che costituiranno l’ossatura delle future Dolomiti. A quei tempi queste montagne erano parte di un vero e proprio arcipelago formato da isole ed isolette, in cui le ottimali condizioni climatiche permisero la formazione di imponenti barriere coralline. Il risultato di questo lungo processo è, almeno per questo rilievo, una parete sud di circa 1000 metri d’altezza di favoloso compatto e ripido calcare, un unico cuore delle Dolomiti. Una vera e propria chimera per qualsiasi alpinista, un sogno che alle volte può tramutarsi in vero assillo o incubo.
Prima dell’alpinismo viene però la geologia, se non altro per questioni cronologiche.
Cerchiamo allora di riassumere qualche milione di anni di storia geologica in poche righe. Un’ardua impresa, come arduo è scalare una qualsiasi delle circa 80 vie alpinistiche che caratterizzano la parete sud di questa maestosa montagna.

La geologia
Circa 250 milioni di anni fa alcune porzioni del mare Triassico, meglio conosciuto come “Tetide∗”, si sollevarono per dare origine ad isole ed arcipelaghi, in un clima di tipo tropicale. Di queste isole formate da piattaforme carbonatiche faceva parte la Marmolada. Dobbiamo immaginare un ambiente pelagico∗ caratterizzato da un clima favorevole con acque calde ed areate e in lento e continuo sprofondamento (subsidenza∗). Questi fattori permisero lo sviluppo di estese colonie coralline. In questi veri e propri atolli si depositarono le rocce che costituiranno l’ossatura di queste montagne. Oggi sono a tutti gli effetti un arcipelago tropicale fossile.
Il gruppo montuoso delle Dolomiti prende il nome dal minerale dolomite, che ne caratterizza la sua roccia più rappresentativa, la dolomia appunto. La dolomite da un punto di vista chimico è un carbonato doppio di calcio e magnesio. Il calcare di formazione primaria ha subito un processo di dolomitizzazione che consiste nella sostituzione di parte degli ioni calcio presenti nel reticolo cristallino della calcite con ioni magnesio provenienti da soluzioni saline ricche di questo elemento. Alla fine di questo processo si ha la formazione di un nuovo minerale: la Dolomite appunto (il nome viene da Deodat de Dolomieu, 1750-1801, il primo che studiò e classificò questa roccia). Questo processo fu favorito da due fattori principali : la subsidenza continua e costante del sottosuolo, che permise l’accumulo e la sedimentazione di grandi spessori di materiali carbonatici, e le continue trasgressioni e regressioni marine che arricchirono di sali di magnesio le rocce carbonatiche.
Tuttavia non tutte le Dolomiti sono composte da dolomia. La Marmolada, insieme ad alcuni altri gruppi “dolomitici” come il Latemar, non subirono il processo di dolomitizzazione.
La mancata dolomitizzazione di alcune delle antiche piattaforme carbonatiche viene attribuita all’attività di alcuni vulcani attivi nell’area nel periodo Ladinico (intorno a 240-230 milioni di anni fa). Gli apparati vulcanici di Predazzo e dei Monzoni, con le loro poderose eruzioni sottomarine, apportarono enormi quantità di lava nei bacini marini. Queste lave finirono per ricoprire le pendici delle scogliere e delle piattaforme carbonatiche della zona. Uno di questi apparati vulcanici, il sistema dei Monzoni, era posizionato molto vicino alla Marmolada.

In questo scenario le ceneri e le lave del vulcanismo Ladinico, ricoprendo gli atolli limitrofi, avrebbero impedito lo scambio calcare-magnesio, inibendo il processo fondamentale per la dolomitizzazione delle rocce carbonatiche coinvolte.
…e un po’ di alpinismo
La mancata dolomitizzazione della Marmolada ci ha così consegnato 1000 metri d’altezza di grigio e compatto calcare che l’ha resa croce e delizia di generazioni di alpinisti.
Attraverso questa parete, nella sezione centrale, ovvero nella parte più liscia e ripida, passa la mitica via attraverso il Pesce anche chiamata semplicemente: “il Pesce” (cima di Ombretta parete sud, via attraverso il Pesce, primi apritori Igor Koller e Jindrich Sustr, 2-3-4 agosto 1981).

Il Pesce è ben visibile sulla parete, una nicchia con questa forma scolpita sul fianco della montagna. Se vi capitasse di sfogliare le pagine web di un qualsiasi sito di scalate in Marmolada a proposito di questa via potreste leggere: “Una via entrata, a buon diritto, nel mito. Si tratta di un vero capolavoro dell’arrampicata dolomitica.”

Oggi “il Pesce” è diventata una delle classiche estreme delle Dolomiti, ed anche se la chiodatura iniziale è stata modificata per rendere più sicura la salita, rimane comunque una via da non sottovalutare.
La via si sviluppa per 900 metri e fu aperta in 3 giorni dai cecoslovacchi Igor Koller e Jindrich Šustr (di 29 e 17 anni rispettivamente). L’apertura della via agì come una macchina nel tempo determinando un salto nel futuro per tutto l’ambiente alpinistico.
Le difficoltà estreme della parete permettono un’unica sosta-bivacco tranquilla: nella nicchia a forma di pesce posta nella seconda metà della parete. La salita di Igor e Šustr fu notevole anche considerando la scarsa qualità tecnica dei materiali con cui i due alpinisti affrontarono la via.

In una delle conferenze che seguirono l’ascesa, Igor Koeller raccontò che la via era stata aperta utilizzando delle scarpe da calcio a cui erano stati tolti i tacchetti: “erano buone per arrampicare” diceva. Se a questo uniamo le caratteristiche degli imbraghi da arrampicata utilizzati dagli alpinisti dell’est in quegli anni, realizzati cucendo assieme delle semplici fettucce, abbiamo un’idea della portata della loro impresa. Non potevano certamente permettersi alcuno sbaglio in parete. l materiali in uso e la roccia così compatta non avrebbero perdonato un loro eventuale errore.

Una cordata ben particolare quella di Igor e Šustr. Igor l’anziano, anche se appena ventinovenne, era la mente organizzatrice. Šustr, un ragazzino dal talento puro per l’arrampicata, dopo l’impresa come un novello Rimbaud, sparì nel nulla (almeno per quanto riguarda il mondo alpinistico).
Šustr percorse da capocordata tutti i tiri più difficili, guidato da Igor che ben conosceva l’ambiente e la parete. La via fu aperta in tre giorni continuativi di scalata, in cui vennero affrontati spericolati passaggi su dei semplici cliff (minuscoli ganci a cui in casa nessuno affiderebbe la sicurezza di un canovaccio da cucina e a cui invece coraggiosi alpinisti affidano la loro vita in tutti quei casi in cui non siano utilizzabili altre protezioni), senza ricorrere all’ausilio di protezioni più sicure come ad esempio gli spit (strumento decisamente più affidabile, paragonabili ad uno stop infisso nella parete, martellato a mano o con compressori meccanici). La parete compatta della Marmolada non permetteva di martellare chiodi in buchi e/o fessure che potessero garantire, nell’attraversare i passaggi più complessi, una totale sicurezza.
La prima salita del Pesce aprì le porte del VII grado sulle Alpi (VIII se percorso totalmente in libera∗). Inizialmente la portata dell’impresa non fu pienamente compresa. In realtà non fu solamente una nuova via in Marmolada, fu “la via”. Un nuovo modo di guardare alle difficoltà ed alla progressione. L’inizio di una nuova era dell’arrampicata decisamente proiettata nel futuro. Dal “Pesce” in poi la capacità tecnica e l’allenamento, l’eleganza dei passaggi e la linea della via stessa saranno alla base della scelta dei nuovi itinerari alpinistici, non più volti alla mera conquista della vetta.
Igor Koeller mostrò a tutti quella strada.
∗Glossario
Tetide il nome del bacino oceanico disposto est-ovest che separava tra il Permiano (299-251 Ma fa circa) ed il Miocene (23-5 Ma fa circa) l’Africa settentrionale dall’Europa e dall’Asia. Prima di ciò era il nome di un personaggio della mitologia greca, la mitica ninfa marina, sposa del mortale Peleo e madre di Achille.
Pelagico dal greco pelagos ovvero del mare aperto dal punto di vista biogeografico.
Subsidenza in geologia denota i movimenti di sprofondamento del fondo marino o della piattaforma carbonatica che tendono ad abbassarsi a causa del peso dei sedimenti.
Arrampicata libera: progressione alpinistica dell’arrampicata su roccia, in cui per la progressione in parete si fa affidamento solo sul proprio corpo e sulle proprie forze, questo tuttavia non esclude l’utilizzo di corde e sistemi di assicurazione (spit e chiodi) che vengono impiegati esclusivamente per motivi di sicurezza.
Arrampicata artificiale: In contrasto con la progressione libera in questo caso, per scalare una parete si fa ricorso a mezzi artificiali per la progressione (chiodi o altri strumenti infissi nella parete), utilizzandoli come veri e propri appoggi ed appigli.