Foglie e licheni per il monitoraggio delle polveri sottili

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha recentemente stimato che le polveri sottili (PM10 e PM2,5) provocano circa 2 milioni di decessi all’anno nel mondo, di cui circa 400.000 nella sola Europa. Con le tecniche di laboratorio del magnetismo delle rocce si possono studiare le caratteristiche e la natura delle polveri sottili.

di Aldo Winkler

Le polveri sottili sono costituite da sostanze microscopiche sospese in aria, presenti in atmosfera per cause naturali e antropiche. Di solito, quando parliamo di polveri sottili, ci riferiamo al cosiddetto PM10, comprendente particelle il cui diametro è uguale o inferiore a 10 µm, ovvero 10 millesimi di millimetro. Negli ultimi anni hanno ricevuto particolare attenzione le polveri di dimensione ancora minore, il PM 2,5.
PM sta per particolato sottile (particulate matter). Più le particelle sono piccole, più si accumulano nell’organismo provocando danni alla salute. Tra le affezioni attribuite al PM vi sono patologie acute e croniche a carico dell’apparato respiratorio (asma, bronchiti, allergia, tumori) e cardio-circolatorio.

Il particolato sottile può essere prodotto da fonti naturali (polvere, terra e sale marino, incendi, pollini, eruzioni vulcaniche) o da fonti umane (emissioni di automobili, riscaldamento delle abitazioni, usura del manto stradale, dei freni e dei pneumatici delle auto, emissioni di centrali elettriche, inceneritori, impianti industriali, centrali elettriche e fumo di sigaretta).

Le norme europee hanno fissato, dal 2010, i limiti massimi giornalieri di PM10 a 50 μg/m3, da non superare più di 7 volte l’anno, con una media annua massima di 20 μg/m3.

Considerando l’impatto di queste particelle sulla salute e sul benessere della popolazione, negli ultimi anni si sono diffuse metodologie innovative di ricerca e analisi sul PM. Tra queste possiamo senz’altro annoverare quelle basate sul magnetismo delle rocce. Queste tecniche si basano sul fatto che il PM può comprendere una frazione magnetica derivante da processi di combustione (nel caso di emissioni industriali, domestiche o veicolari) e da abrasioni (come per i freni veicolari e le rotaie). Il biomonitoraggio con metodi magnetici consiste nel considerare foglie e licheni come recettori e collettori di questo particolato magnetico atmosferico, il quale modifica sensibilmente le proprietà magnetiche delle foglie. Infatti, in contesti non inquinati, foglie e licheni sono debolmente e solo temporaneamente magnetizzabili in presenza di un campo magnetico (diamagnetismo). L’identificazione di una magnetizzazione significativa è quindi un indice della presenza di particolato magnetico e, quindi, di inquinamento atmosferico.

Il biomonitoraggio con metodi magnetici ha permesso, a partire dal 2002, di valutare l’inquinamento da traffico veicolare a Roma su platani e lecci, gli alberi risultati più idonei, per diffusione e capacità di ritenzione del particolato magnetico. La concentrazione e l’accumulo di PM sono stati valutati mediante un parametro dipendente dalla concentrazione di minerali magnetici (la suscettività magnetica) con cui sono state realizzate mappe mensili di distribuzione dei suoi valori.

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Distribuzione spazio-temporale della suscettività magnetica a Roma, (aprile-agosto 2002). La dimensione dei  pallini neri dipende dal livello di inquinamento.
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Valori di suscettività magnetica registrati su foglie di Platano e di Leccio, in un settore sud-est di Roma. Si può notare la corrispondenza tra  valori di suscettività magnetica e volumi di traffico.

Integrando questi risultati con studi successivi, si è giunti all’importante risultato che la concentrazione di PM antropogenico risulta significativamente ridotta già alla distanza di 10 metri dalla sede stradale.

L’abbinamento di analisi magnetiche con osservazioni chimiche e morfologiche al microscopio elettronico ha permesso di determinare, esaminando le polveri dai tubi di scappamento e i residui di frenatura, che la maggior parte delle particelle ricche di ferro di origine veicolare ha dimensioni comprese tra 0.1 e 5 µm, ancora più piccole del PM10. Le polveri derivanti dai carburanti sono risultate ancora più fini.

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Immagine al microscopio elettronico di strutture pilifere della superficie inferiore di una foglia di leccio con particolato magnetico intrappolato (particelle dai toni di grigio brillante).

Ulteriori studi sono stati indirizzati sui licheni, con valutazioni sull’inquinamento atmosferico a seguito di un determinato periodo di esposizione e a partire da condizioni iniziali note. I primi studi condotti nei laboratori INGV sono stati effettuati su Evernia prunastri e campioni autoctoni di Xanthoria parietina da aree limitrofe a un cementificio slovacco, nonché di Pseudevernia furfuracea dai dintorni di un cementificio e di un’area industriale in provincia di Pordenone. In questo caso le proprietà magnetiche sono risultate preziose per capire come discriminare le sorgenti antropiche da quelle naturali di PM.

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Lichene Xanthoria parietina (copyright Jenny Seawright)

L’esperienza sui licheni ha permesso recentemente di avviare un programma, promosso dall’ARPA Lazio in collaborazione con l’INGV, di biomonitoraggio magnetico dei licheni campionati a Via di Salone (RM) e località Via Cesurni (Comune di Tivoli). I valori dei parametri magnetici registrati sono risultati indicativi di importanti concentrazioni di minerali magnetici, come esposto nella relazione tecnica in cui viene ribadito l’elevato grado di antropizzazione delle zone studiate, caratterizzate da molteplici sorgenti di inquinamento.

Queste innovative ricerche sono state presentate durante numerosi eventi pubblici divulgativi, sono state oggetto di un programma formativo con le scuole promosso dal Comune di Roma indirizzato a oltre 600 studenti, nonché di quattro progetti di Alternanza Scuola Lavoro.


 

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