L’Artico e il riscaldamento globale

L’Artico si sta scaldando più rapidamente rispetto al resto del globo. Questo fenomeno, indicato con il termine “amplificazione polare” (o anche “amplificazione Artica”), ha importanti e drammatiche conseguenze, non solo per la regione polare. Vediamo come e perché

di Annalisa Cherchi

Sicuramente l’amplificazione polare rappresenta una delle conseguenze più interessanti ed allo stesso tempo preoccupanti del riscaldamento globale a cui stiamo assistendo. I dati a nostra disposizione mostrano che, dalla seconda metà del ventesimo secolo, il tasso di riscaldamento dell’Artico è accelerato rispetto a quello della media globale. Nel grafico in basso si vede come la temperatura mediata nella regione Artica (linea blu) aumenti più rapidamente e raggiunga oggi temperature più elevate rispetto alla media globale (linea rossa).

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Serie temporale di temperatura in °C mediata in Artico (linea blu) e nel globo (linea rossa). I valori riportati sono la differenza rispetto al valor medio calcolato sull’intervallo temporale 1981-2010. Sorgente: NOAA Arctic Report 2016

La mappa, nella figura in basso, evidenzia come la tendenza al riscaldamento (misurata in °C per tutto il periodo considerato 1979-2016) sia molto maggiore in Artico che in qualunque altra regione del globo.

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Tendenza della temperatura in °C calcolata sul periodo 1979-2016. Sorgente: ECMWF ri-analisi atmosferica ERA-Interim (Dee et al 2011).

La manifestazione più evidente di questo riscaldamento accelerato dell’Artico è la fusione progressiva e repentina della copertura di ghiaccio marino nella regione. Infatti, la mappa successiva mostra come l’estensione di ghiaccio marino ad Aprile 2019 (area bianca stimata in 13.5 milioni di chilometri quadrati) sia inferiore all’estensione media del mese di Aprile del periodo 1981-2010 (linea magenta).

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Copertura di ghiaccio marino (area bianca) ad Aprile 2019 confrontata con la media del mese di Aprile per il periodo 1981-2010 (linea magenta).

Riportando su un grafico il ciclo annuale dell’area ricoperta da ghiaccio marino in Artico (in milioni di chilometri quadrati) dal 2007 ad oggi, risulta evidente che le curve degli ultimi anni sono quasi sempre minori della media 1981-2010 (linea grigia).

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Ciclo annuale di estensione di ghiaccio marino in Artico (in milioni di chilometri quadrati) per gli anni più recenti (linee colorate dal 2007) confrontato con la media del periodo 1981-2010 (linea grigia) e corrispondenti 2 deviazioni standard (area grigia sfumata). Sorgente: National Snow and Ice Data Center (http://nsidc.org/arcticseaicenews/)

Nell’Artico, oltre alla fusione del ghiaccio perenne, si assiste anche ad un aumento della stagione di assenza di ghiaccio marino. Negli ultimi anni la distanza tra la fusione del ghiaccio marino in primavera ed il rinnovato congelamento in autunno è aumentata di 5-10 giorni per decade. Inoltre, il declino nella copertura di ghiaccio marino non è simmetrico nello spazio: in estate è maggiore nella parte occidentale dell’Oceano Artico, mentre in inverno interessa maggiormente i Mari del Nord.

Ma quali sono i meccanismi prevalentemente responsabili di questo fenomeno e quali ne sono le conseguenze?

I meccanismi responsabili e coinvolti nell’amplificazione polare sono distinti in due categorie: origine locale e origine remota. Nella prima categoria, ovvero meccanismi di origine locale, rientrano processi puramente radiativi e processi legati al trasporto di calore e vapore d’acqua verso l’Artico. Tra i processi puramente radiativi uno dei più efficaci e noti da tempi remoti è quello legato alle diverse proprietà di albedo, e quindi della capacità di assorbire e riflettere energia incidente, delle superfici ricoperte di ghiaccio e/o neve (bianche con una riflettanza dell’80%) o delle superfici di acque libere (scure con una riflettanza di circa il 7%), che possono anche generare processi di cicli virtuosi amplificando le condizioni di partenza. Per esempio, la temperatura che aumenta favorisce la fusione del ghiaccio marino, e quando il ghiaccio marino sparisce le parti basse dell’atmosfera di scaldano (perché la superficie assorbe più energia) e contribuiscono ulteriormente alla fusione del ghiaccio e/o ne inibiscono la successiva formazione.

I meccanismi di origine remota, ovvero che dipendono da fenomeni e condizioni verificatesi in altre parti del globo, sono identificati ed esplorati da meno tempo e sono quindi ancora poco conosciuti. Essi includono processi legati a teleconnessioni da regioni nelle medie latitudine o anche tropicali e possono essere amplificate o inibite da processi e cicli virtuosi di varia natura. In particolare, le connessioni tra la fusione dei ghiacci in Artico e le condizioni atmosferiche delle medie latitudini (estremi climatici inclusi) hanno una struttura molto complessa che, nonostante i molti lavori e discussioni svoltesi sulle principali riviste internazionali del settore negli anni più recenti, ha impedito che si arrivasse ad una comprensione chiara ed univoca del problema. Le connessioni tropicali hanno origine dalla convezione intensa di quelle regioni a scale interannuali e decadali, prevalentemente legate al fenomeno di El Nino, ma anche a scale intra-stagionale. Le conseguenze principali di questo fenomeno comprendono:

(i) intensificazione nell’occorrenza di eventi estremi;

(ii) cambiamenti nella composizione dell’atmosfera dovuto ad interazioni e scambi di particolato con superfici continentali ed oceaniche, con effetti sulla precipitazione e sulla qualità dell’aria;

(iii) cambiamenti negli ecosistemi sia marini che terrestri nell’Artico con potenziali conseguenze per fauna protetta, pesca e risorse naturali;

(iv) conseguenze per le comunità del circolo polare Artico e le attività economiche legate alla presenza di ghiaccio terrestre e marino, anche perenne;

(v) aumento del livello del mare, come conseguenza della fusione del ghiaccio terrestre, e con conseguenze per le comunità e gli ecosistemi costieri;

(vi) aumento del rischio sia naturale (inondazioni di laghi e fiumi con potenziali conseguenza per l’energia idro-elettrica) che sociale (legato alle comunità della zona ed al turismo);

(vii) degrado del permafrost con conseguenze per il paesaggio, le risorse naturali, aumento dell’erosione costiera e rilascio di contaminanti.

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Resti di villaggio (Siberia). Crediti: EUPolarNet, foto di Peter Prokosch
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Perdita di ghiaccio in Groenlandia, icebergs in Disco Bay. Crediti: EUPolarNet, foto di Peter Prokosch

L’interesse scientifico e le necessità pratiche delle comunità coinvolte hanno contribuito a creare fronti comuni per affrontare la situazione, da una parte alla ricerca di maggiore comprensione dei fenomeni in essere e dall’altra con l’intento di trovare soluzioni sociali ed economiche per mitigare, se possibile, o adattarsi ai cambiamenti in atto e prossimi a venire. Negli ultimi anni la Comunità Europea (programma H2020) ha stanziato oltre 200 milioni di euro per finanziare progetti volti alla comprensione delle problematiche ed alla necessaria integrazione tra comunità scientifica e popolazioni locali, quali EU-PolarNet, APPLICATE e Blue-Action tra quelli più recenti.

A Thule, in Groenlandia, assieme ad  altri enti di ricerca italiani ed americani, l’INGV è direttamente coinvolto nella gestione di un osservatorio (THAAO) la cui strumentazione è dedicata all’osservazione dell’atmosfera neutra polare, dalla troposfera fino alla mesosfera, volta principalmente allo studio dei cambiamenti climatici e della distruzione dell’ozono stratosferico (a questo proposito puoi leggere anche questo post).


Per approfondire:

Cohen J, Screen JA, Furtado JC, Barlow M, Whittleston D, Coumou D, Francis J, Dethloff K, Enterkhabi D, Overland J, Jones J (2014) Recent Arctic amplification and extreme mid-latitude weather. Nat Geosci 7: 627-637 doi: 10.1038/ngeo2234

Cohen J, Zhang X, Francis J, Jung T, Kwok R, Overland J, Tayler PC, Lee S, Laliberte F, Feldstein S, Maslowski W, Henderson G, Stroeve J, Coumou D, Handorf D, Semmler T, Ballinger T, Hell M, Kretschmer M, Vavrus S, Wang M, Wang S, Wu Y, Vihma T, Bhatt U, Ionita M, Linderholm H, Rigor I, Routson C, Singh D, Wendisch M, Smith D, Screen J, Yoon J, Peings Y, Chen H, Blackport R (2018) Arctic change and possible influence on mid-latitude climate and weather. US Clivar Rpoert 2018-1 41pp doi: 10.5065/D6TH8KGW

Cvijanovic I, Santer BD, Bonfils C, Lucas DD, Chiang JCH, Zimmerman S (2017) Future loss of Arctic sea-ice cover could drive substantial decrease in California’s rainfall. Nat Comm doi: 10.1038/s41467-017-01907-4

Dee DP and co-authors (2011) The ERA-Interim reanalysis: configuration and performance of the data assimilation system. Quart J Roy Meteor Soc doi: 10.1002/qj.828

Henderson GR, Barrett BS, LaFleur DM (2014) Arctic sea-ice and the Madden-Julian Oscillation (MJO) Clim Dyn 43: 2185-2196 doi: 10.1007/s00382-013-2043-y

Lee S (2012) Testing of the tropically excited Arctic warming (TEAM) mechanism with traditional El Nino and La Nina. J Clim 25: 4015-4022 doi: 10.1175/JCLI-D-12-00055.1

Stroeve JC, Markus T, Boisvert L, Miller J, Barrett A (2014) Changes in Arctic melt season and implications for sea-ice loss. Geophys Res Lett 41: 1216-1225 doi: 10.1002/2013GL058951

Yoo C, Lee S, Feldstein SB (2012) Mechanisms of Arctic surface air temperature change in response to the Madden-Julian Oscillation. J Clim 25: 5777-5790 doi: 10.1175/JCLI-D-11-00566.1


 

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