Il 2020 conferma la costante riduzione del ghiaccio marino Artico

Nel 2020 la copertura di ghiaccio marino dell’Oceano Artico ha raggiunto un minimo, secondo solo al valore  registrato nel 2012. A metà settembre il ghiaccio copriva soltanto 3,74 milioni di chilometri quadrati, ovvero mezzo milione di km² al di sopra del minimo storico del 2012, quando l’estensione era di soli 3,27 milioni di chilometri quadrati.

di Ingrid Hunsad

La mappatura continua e completa della copertura di ghiaccio è stata possibile grazie ai satelliti che, a  partire dal 1979, sono entrati in orbita intorno alla Terra. L’analisi a lungo a termine di questi dati mostra che, per la seconda volta nei 42 anni di storia dell’osservazione satellitare, il ghiaccio marino artico si è ridotto a meno di 4 milioni di chilometri quadrati. Una enorme perdita se si pensa che in media tra il 1979 e il 2000 il ghiaccio si estendeva per 6.7 milioni di km2.

Estensione del ghiaccio marino nei mesi Maggio/Settembre nel 2012 (blu, il minimo storico); nei passati 10 anni (grigio); la mediana nell’intervallo 1981-2010 (tratteggio); 2020 (arancio).

L’estensione del ghiaccio marino è caratterizzata da un ciclo annuale. Durante l’inverno si forma nuovo ghiaccio e si ispessisce quello “vecchio” degli anni precedenti. Il lento processo di scioglimento inizia a marzo, continua durante l’estate e raggiunge un minimo solitamente nel mese di settembre. E’ questo dunque il mese in cui si fa il bilancio dell’intero anno e si confrontano le misure con gli anni precedenti. Il bilancio di quest’anno non è positivo.

Purtroppo, questa massiccia diminuzione di ghiaccio durante l’estate appena trascorsa non è stata una sorpresa per la maggior parte degli scienziati, per due ragioni principali.

In primo luogo, durante l’inverno precedente, si è formato solo ghiaccio marino molto sottile nei mari prospicienti la costa Russa (Mari di Laptev, di Kara e della Siberia orientale) a causa dei venti che hanno spinto il ghiaccio giovane, appena formato, verso nord. Questo ha impedito l’ispessimento della copertura di ghiaccio che, così sottile, si è sciolto troppo velocemente quando è arrivata la primavera.

In secondo luogo, quest’anno l’Artico ha subito temperature sia dell’aria che dell’acqua estremamente elevate. Di conseguenza, il calore ha eroso il ghiaccio sia dall’alto che dal basso.

A Maggio e Giugno una grande cella d’aria calda si è soffermata sulla costa Siberiana. Già nel mese di  Giugno (secondo i dati dell’Istituto Alfred Wegener (AWI), Centro Helmholtz di Ricerche Polari Marine di Brema) l’Artico russo conteneva circa un milione di chilometri quadrati di ghiaccio marino in meno rispetto allo stesso mese nei sette anni passati.

A luglio, un’altra cella d’aria calda si è fatta strada nell’Artico centrale, causando un aumento di 6°C oltre la media dell’intervallo 1981-2010. Nello stesso mese, oltre a questa circolazione di aria calda, una tempesta ha travolto il settore Canadese dell’Oceano Artico, frammentando il ghiaccio marino e rendendolo più vulnerabile allo scioglimento. Questi frammenti di banchi di ghiaccio a contatto con l’acqua, riscaldata dal sole durante le 24 ore di luce del mese di luglio, si sono sciolti più rapidamente.

Acqua insolitamente calda

La crescente quantità di calore nel sistema climatico terrestre ha influenzato il ghiaccio anche dal basso. Nelle aree in cui la copertura di ghiaccio marino è scomparsa già nella prima metà dell’anno, la superficie scura dell’oceano ha avuto molto più tempo per assorbire l’energia solare e l’acqua di superficie ha subito un intenso riscaldamento. Le temperature superficiali nei Mari di Barents e di Chukchi sono aumentate fino a 4,5°C  rispetto alla media a lungo termine. La dott.ssa Monica Ionita, climatologa dell’Istituto Alfred Wegener (AWI) spiega che a Luglio e Agosto, a causa della cella di alta pressione stabile sull’Artico centrale, c’è stato un alto numero di giornate senza nuvole e la radiazione solare, normalmente tamponata dalle nuvole, è risultata un fattore aggiuntivo nello scioglimento del ghiaccio.

L’elevato numero di giorni di cielo sereno, già nel 2019 è stato una delle cause dello scioglimento più intenso mai registrato dal 1948 della calotta groenlandese come abbiamo raccontato in questo post.

Molto probabilmente, anche il calore dalle profondità dell’oceano ha contribuito. Come mostrano  le ultime ricerche del Centro Helmholtz Ricerche Polari Marine di Brema,, nella parte orientale dell’Oceano Artico, le masse d’acqua calda dell’Atlantico, portate dalla corrente del Golfo, che prima circolavano a una profondità inferiore a 150 metri stanno gradualmente salendo, modificando  il trasferimento di calore dall’acqua al ghiaccio. In queste condizioni, anche in inverno, il calore degli strati più profondi può risalire in superficie e rallentare la crescita del ghiaccio. Infatti, alla fine dell’inverno 2020, il ghiaccio era più sottile di quanto non sia stato nei decenni passati. In altre parole, il ghiaccio era mediamente più giovane.

Il ghiaccio ha un’età

L’età del ghiaccio è un altro parametro che descrive lo stato della copertura di ghiaccio ed è un indicatore delle sue proprietà fisiche. Il ghiaccio “vecchio” ovvero pluriennale tende ad essere più spesso e rugoso di quello appena formato perché si accumula anno dopo anno arrivando ad uno spessore che supera i tre metri. Di conseguenza è più resistente sia allo scioglimento che alla frammentazione causata dalle tempeste. Nel Marzo 1985 il ghiaccio che era sopravvissuto ad almeno quattro estati costituiva il 16% dell’intera copertura invernale. Nel Marzo 2018 era soltanto l’1%.

Confronto fra l’età del ghiaccio all’inizio di Marzo nell’anno 1984 e 2018

Il fatto che rimanga così poco ghiaccio “vecchio” in Artico innesca una controreazione negativa che accelera lo scioglimento. Meno ghiaccio “vecchio” implica maggiore vulnerabilità allo scioglimento durante l’estate. Maggiore è lo scioglimento durante l’estate, minore sarà l’età del ghiaccio nell’inverno successivo, maggiore sarà la sua vulnerabilità nell’estate a seguire.

Testimoni oculari della rapida ritirata del ghiaccio marino 

Quest’estate, come abbiamo raccontato in questo post, gli scienziati a bordo della rompighiaccio da ricerca tedesca Polarstern hanno visto con i loro occhi e studiato il rapido scioglimento nell’Oceano Artico.

L’entità della ritirata del ghiaccio marino quest’anno è stata da mozzare il fiato. Quando abbiamo raggiunto il Polo Nord, il 19 agosto, abbiamo visto ampi tratti di mare aperto. Eravamo circondati da ghiaccio crivellato di buchi a causa del massiccio scioglimento. Il ghiaccio artico sta scomparendo a una velocità drammatica. Dal 31 agosto, si sono sciolti quasi 80 mila km2 al giorno di ghiaccio marino“, racconta il capo della spedizione, il professor Markus Rex.

Il ghiaccio marino gioca molti ruoli: oltre ad essere l’habitat di fauna e flora Artica, è una barriera per gli scambi di calore tra l’oceano e l’atmosfera, è in grado di riflettere i raggi del sole durante le lunghe giornate estive ed è una barriera per le attività umane, come per esempio le rotte commerciali (rotta del mare del nord), che si portano sempre dietro il rischio di sversamenti di petrolio.

Purtroppo, le condizioni climatiche che venivano chiamate “estreme” in Artico, ovvero temperature troppo elevate per queste latitudini, stanno diventando la normalità e questo ha un impatto socioeconomico e ambientale per l’intero pianeta.


Per approfondire:

Arctic Sea Ice News and Analysis, a cura del National Snow & Ice Data Center

Alfred Wegener Institute


In copertina Isola di Wrangel nel Mare Artico di Brocken Inaglory

 

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